Tag: intelligenza
Gio
12
Set
2019
la stella che brilla!
Dopo tutto quello che succede di merdoso ogni giorno, ci manchi solo tu a scassarmi le palle con le tue teorie del cazzo!
da bambino la figlia dell'amica di mia mamma veniva a giocare con me e mi trovavo bene, non mi a mai attratto fisicamente, ma era una persona normale, affabile che ci potevi fare anche un discorso serio e siamo cresciuti insieme, io sapevo molte cose della sua vita e lei di me, se la mia famiglia non è certamente un bell'esempio, la sua sarebbe da buttare nell'indifferenziata... suo papà era tossico/alcolista/puttaniere sua mamma anche lei tossica fino a qualche anno fa, non aveva i soldi manco per comprare i vestiti alla figlia perche si doveva comprare la "roba" reciclava i miei vestiti e sua figlia sembrava un maschiaccio.. ma io non mi sono mai permesso di dire niente mai neanche pensato nulla di spiacevole nei loro confronti, perché giustamente io non sono nessuno e tutti vivono come possono e credono ma esigo rispetto!!! non sono una merda di cane sotto una scarpa. Da qualche anno la brutta anatroccola occhialoni e vestitoni da uomo si è trasformata nella ragazza che ha la F...A d'oro, lei crede di essere un genio e che tutti gli sbavano dietro solamente perché si è messa a studiare diventando psicologa, con la madre ex-tossica che la incoraggia a sfottere gli altri, anche quelli che come me gli sono stati vicino,se mi incontra per strada cerca di evitare il mio saluto perché gli faccio schifo, arrogante e presuntuosa come non mai crede che il mondo giri intorno a lei, brutta troietta che non sei altro, smettila di venirmi ad insegnare come devo comportarmi con i miei genitori, tu non sai cosa sopporto ogni giorno in casa mia!Da un pò di tempo si è messa a fare comunella con mia mamma alle mie spalle. Tu sarai anche diventata psicologa, ma per adesso ti fai mantenere dalla mammina perchè non lavori da 2 anni, oppure quando ti va bene guadagni solo 400 euro al mese devi stare solo zitta invece di criticare gli altri guardati TU! un bravo psicologo sa ascoltare gli altri,non li critica ma li guida nelle scelte.
Dom
16
Giu
2019
sentirsi inferiori
come posso fare per non sentirmi continuamente inferiore agli altri ? Ogni giorno non faccio altro che svegliarmi e pensare a quanto gli altri siano intelligenti..sono in una fase della vita in cui tutti i miei amici si stanno laureando e fidanzando....io avendo cominciato l'università più tardi ne avrò ancora per un anno ...ogni giorno non faccio altro che pensare a loro come dei geni io non so neanche se ci arriverò a prendere la laurea..inoltre ultimamente mi sta passando per la testa una domanda, ma una persona che studia materie scientifiche è più inteligente rispetto ad una che studia materie umanistiche? io credo di no ma noto parlando con le persone che per la collettività è il contrario
Ven
14
Giu
2019
non mi sento intelligente
Secondo voi da cosa si capisce che una persona è intelligente? e come si può fare per diventarlo? o perlomeno diventare persone sgaggie e in gamba..
Mar
17
Apr
2018
invidia indesiderata
Sono sempre andata bene a scuola, però purtroppo, ormai da qualche tempo, non riesco più praticamente in nulla. Non so in quale penoso baratro io mi sia adagiata, fatto sta che le cose non vanno più. E sono al quinto anno. E in realtà non mi importa davvero dei voti... Ma vedo le mie amiche, e sono tutte così normali, tutte così prese e focalizzate su qualcosa, e talvolta un po' le invidio. Le invidio perché non avrei nulla da invidiare loro tecnicamente, ma non so affrontare le cose come dovrei, come vorrei. Loro sono più normali, forse, e allora si pongono nei confronti del mondo con un atteggiamento diverso, più giusto, mentre io non so fare altro che logorarmi in quello che in inglese si chiama "overthinking", e che non fa altro che spingermi più giù. Sono le mie amiche e sono fantastiche, le adoro, ma a volte mi trovo lì, accanto a loro, e non riesco a non provare un po' d'invidia, che tento di mandar giù con tutte le mie forze, ma che soprattutto negli ultimi giorni, imperterrita, si ripresenta.
Lun
12
Mar
2018
10 in pagella 0 nella vita (SFOGO SERIO)
Questo è uno sfogo serio, lungo e noioso, vi supplico di leggerlo e di aiutarmi a chiarire i dubbi che ho sul mio ambiguo ed impervio futuro. Gradita è l'opinione di persone colte e intelligenti (non insinuo che la loro opinione valga di più, ma ne ho particolarmente bisogno perchè connessa al contenuto dello sfogo).
E scusate se viene fuori un pastone ma il cellulare me lo formatta male.
A volte mi sembra di avere qualcosa di sbagliato in testa. Ho una carriera scolastica brillante, mantengo una media alta sforzandomi relativamente poco e i miei professori dicono che sono bravo e intelligente, "è un ragazzo così sveglio e particolare!" e bla bla bla.
Ma io non mi sento affatto intelligente. Sono convinto di essere un assoluto coglione. Vediamo i motivi per cui ritengo che sia vero.
1) Se sono così intelligente come dicono come mai non sono capace di costruirmi una vita sociale che sia una? E lasciate stare la teoria delle intelligenze multiple, sto guardando al quadro complessivo. La maggior parte della gente che va male a scuola, va male perchè è pigra. Chiunque può arrivare a prendere voti sopra l'otto in ogni materia se ci prova davvero. Se non hai menomazioni mentali e vai male a scuola è perchè non ti va di fare un cazzo, e tu lo sai, e te lo dico da confratello pigro. I miei risultati scolastici non dicono assolutamente niente, o quasi, sulla mia attuale intelligenza. Molti geni riconosciuti erano considerati dei completi somari a scuola ma alla fine l'hanno avuta vinta loro. Le persone normali fanno amicizia in fretta e costruiscono ampie reti sociali e connessioni empatiche con i loro cari e con coloro che amano. Che essere umano sono se non sono in grado di portare a termine una missione così semplice? Che valore ha la mia vita? Ma soprattutto chi assumerebbe mai in ambito lavorativo un individuo con simili deficienze sociali?
2) Non so un cazzo. In questi cinque anni di liceo... non ho imparato assolutamente nulla. Non ricordo cosa ho studiato gli anni passati o durante il primo quadrimestre di quest'anno. Sento di essere intrappolato in un pozzo colmo di fetida ignoranza. Dimentico gli argomenti che studio subito dopo le verifiche su di essi. Sono un baro, inferiore alle aspettative che gli altri si fanno di me, un falso sapiente. Ho questa stigma con storia in particolare. La studio sempre in maniera dettagliata, ma finisco per dimenticare tutto periodicamente. E' una cosa normale? Non significa forse che sono stupido? Voglio essere colto, non mi piace ristagnare nell'ignoranza a causa della mia memoria squallida e disinteressata, ma non riesco ad assorbire nulla dalla scuola.
Mi fanno studiare argomenti totalmente a caso e di natura generale che non mi forniscono basi solide su cui costruirmi un futuro. L'unica materia che mi piace genuinamente è inglese. Ho 19 anni e sono completamente chiuso nel mio guscio, non so nulla del mondo e la cosa mi scortica l'anima. Gli umani normali si trovano in questo stato alla mia età? Come posso fare per ampliare la mia cultura al di fuori della scuola? Essere un avido lettore non è sufficiente. Necessito di conoscere il mondo, di essere colto e apprezzabile come individuo, ma è così maledettamente difficile farmi una cultura. Non so da dove iniziare. Sono terrorizzato. Non voglio vivere da inconsapevole burattino ignorante alla mercè di qualcuno di più furbo. Vi prego ditemi voi: da dove devo iniziare?
3)Non ho maturato alcuna competenza specifica. Ho passato anni a rimpinzarmi di materiale teorico privo di applicazioni pratiche. Ho paura. Il mio sogno è avere successo ed essere un membro produttivo della società in cui vivo, ma come posso farlo se non ho niente di concreto da offrire, nessun talento, nessuna qualità umana che sia amabile? Dove inizio a sviluppare competenze? E' una fase di passaggio o sono un'anomalia, una mela marcia? Con l'università le cose cambiano?
Ambisco ad un futuro qualitativamente migliore di quanto sia stata la mia adolescenza, ma non trovo gli strumenti per costruirlo e questo mi fa incazzare. Progetto di uscire con la lode da questo cesso di scuola pubblica, ma poi che ne sarà di me? Se non mi dò una mossa rischio di isolarmi del tutto dal mondo. E non ho ancora idea di che università frequentare. Che succede se faccio la scelta sbagliata e mi distruggo la vita? Voglio una situazione economica stabile, no anzi, sopra la media, così da essere libero di viaggiare per il mondo. Se qualcuno mi indicasse la strada da percorrere per arrivare al raggiungimento di tutto ciò mi ci dedicherei anima e corpo.
Voglio essere umanamente amabile. Voglio sapere, conoscere, essere mentalmente plastico, creativo, audace e non un involucro vuoto il cui unico orgoglio e di avere una pagella da 10. Se siete arrivati a leggere le mie mancanze fino a qui e siete capaci di darmi dritte su come dare un senso alla mia vita, vi imploro di farlo.
Soprattutto voi che avete tutte le qualità a cui anelo così disperatamente svelatemi il vostro segreto!
Mer
01
Nov
2017
Mi sono perso, sono a un punto morto della mia vita e non so più cosa fare
Oggi voglio confessare che mi sono completamente perso e mi sento a un punto di non ritorno della mia vita in cui vedo solo la tempesta e il naufragio. Non a caso ho scelto questo nickname. Non vi dico quanti anni ho perchè normalmente questo dato viene utilizzato contro di me. Non sono giovane, non lo sono mai stato, per me questa parola è un insulto. Da fuori sembro un ragazzino, ma sin dai tempi dell'asilo avverto una grandissima barriera culturale, esperienziale ed emotiva che mi fa essere un gradino più avanti agli altri ma anche un gradino più vicino alla disperazione e alla solitudine. Dico questo non per fare l'arrogante di turno, ma per esporre una semplice verità delle cose e uno dei noccioli della mia sofferenza. Al mondo esistono persone smart e persone che lo sono meno e non vedo perchè le prime se ne debbano sempre vergognare.
Sono cresciuto in una famiglia pessima fatta di vecchi traumi, urla, divorzi, malattie e morti premature. Ho perso i genitori, che comunque odiavo, e non ho nessun altro parente che non sia affetto da qualche malattia fisica e mentale, che non abbia problemi con la legge o che non viva a 100 km da me. Sono andato a lavorare prestissimo per potermi pagare da mangiare e gli studi in un'età in cui i miei coetanei giravano col motorino e il loro massimo pensiero era il voto che avrebbero preso nella verifica del giorno dopo. Solo con le mie forze ho preso prima il diploma e poi la laurea. Ho passato una selezione difficilissima per una specialistica di economia dove sono iscritto ma che non riesco a frequentare. Ho viaggiato tantissimo, ho raggiunto risultati che avrebbero reso fiero chiunque, ma per me non è mai abbastanza e non mi da nessuna gioia, perchè tanto non c'è nessuno a parte me che vi assista. Ultimamente ho anche l'impressione di non avere più nulla da dire e che la gente tutto sommato mi ignori perchè ha di meglio da fare nella vita, e che io non potrei in alcun modo interessarli o dargli qualcosa in più.
Ho coltivato me stesso con tenacia e spirito di sopravvivenza attraverso libri, corsi di molti generi (perchè sono curioso di tutto) e anche terapie pluriennali che mi hanno aiutato a guardare il mio schifoso passato. Ma non ad accettarlo. Non ci sono riuscito. Non riesco a calmare il dolore che ho dentro, non con le parole, non con la musica e i quadri, non con il sole di un posto esotico, nè con le amicizie o i farmaci.
La mia sembra una storia di rinascita, e invece è una lenta storia di caduta quotidiana. Da fuori sembro una persona normale, magari un po' stralunato, forte, sicuro, un sopravvissuto appunto. A volte gli amici si sono sfogati con me e gli sconosciuti mi fanno fare lo psicolgo. Io nascondo tutta la mia paura, il mio dolore, le idee strane, la mia visione del mondo acuta e sfaccettata...tutto nel retro del negozio. Sono troppi anni che ormai tengo in piedi la facciata del ragazzo intelligente e capace, magari un po' timido e certo molto sensibile, ma uno di cui ci si può fidare. Invece sento dentro di me bollire l'inquietudine e la rabbia verso le radici che mi sono mancate. Vado dove mi porta il vento, dove trovo luoghi di studio e di lavoro. Ma tutto dura poco. Gli amici pian piano si sono allontanati o li ho allontanati io. Non ho interesse per il sesso e questo mi rende una mosca bianca in una nazione che pensa solo a quello. Non mi drogo e l'alcol non mi consola. Ogni tanto mi faccio del male da solo perchè mi rilassa.
Non riesco a SENTIRE nessun affetto, nessun calore da parte degli esseri umani. Per questo passo tutto il tempo in natura sui monti, sulla spiaggia o a fare volontariato con gli animali abbandonati. Mi impedisce di impazzire e mi fa sentire a casa. Credo di essere molto più figlio delle rocce e dei pesci che non dell'umanità. Ma non ho il coraggio di andarmene a fare l'eremita: mi sembra di buttare via la mia vita e tagliare per sempre i ponti con la società, chiudendomi ancora di più in me stesso.
Non riesco più a fare niente. Non trovo un lavoro da mesi e se lo trovo non riesco a tenermelo perchè mi stressa troppo. Non vado a lezione all'università e racconto a tutti che ci sto andando. Che poi, questi "tutti", sono dei tutti fittizi e a distanza. Qualche parente che si informa vagamente su come sto o che chiama solo perchè lo aiuti a risolvere i suoi problemi legali e finanziari eludendo il blocco delle chiamate indesiderate. Qualche amico che non sento più da mesi mi chiama ogni tanto sbronzo marcio. Gli altri sono emigrati, o sono finiti a drogarsi, o hanno finito gli studi e ora pensano solo alla macchina e al lavoro. Qualcuno ha già figli.
E poi ci sono le schiere di conoscenti sui social che pensano che la vita mi vada alla grande. Pubblico un sacco di belle cose sui social, molto profonde e luminose, e infatti piacciono solo a quei quattro aficionados con l'anima più pensatrice e artistica. Per il resto non mi caga sostanzialmente nessuno.
Voglio mollare la specialistica, anche se ho fatto tanto casino per entrarci, ma non so nemmeno a cosa dedicare il resto della mia esistenza. Paradossalmente vado bene un po' in tutto ma non c'è più quel Sogno, quel progetto di vita che mi spingeva avanti pur avendolo cambiato molte volte nel corso degli anni. Non c'è nessuno che mi sostiene. Vivo in una vecchia casa di famiglia sfitta in un paesino di provincia, guardo passare le mie giornate aspettando che accada...non so, qualcosa? Che mi torni un po' di quella ispirazione che mi teneva in piedi e stordiva la mia consapevolezza di quanto sono solo e sbagliato in questo mondo. Qualunque cosa faccia mi sembra senza senso e deludente, inadatta alla mia personalità.
Chi non mi capisce e trova massima gioia nello sbattersi una donna, nel cibo e nel vino, in un lavoro ripetitivo e omologato mi da del narcisista, ovviamente senza capire un fico secco della profondità che possono raggiungere la mia consapevolezza e il mio dolore.
Mi trovo co-proprietario di due case per ragioni di eredità, ma anche pieno di debiti e con zero soldi liquidi sul conto. Ho dovuto accettare che un parente con cui non ho particolari legami mi mandasse dei soldi per gli studi e per tenermeli gli dico che è tutto a posto, che tutto procede, che sì, certo che do gli esami e vanno benone. Ma non è vero, cazzo. Combatto tutti i giorni battaglie contro il suicidio e la mancanza di scopo. E mi sento uno schifo a prendere quei soldi e pagarci il cibo che ho in frigorifero, anzichè l'università, senza essermeli guadagnati come ho sempre fatto in passato.
Mi rendo conto che sto annaspando e giro a vuoto come chi si è perso in montagna. E la vita scorre, il sole cala e io vado sempre più nel panico e continuo a imbroccare sentieri sbagliati, qualunque, pur di marciare convinto su uno qualunque di questi per far vedere che vado avanti.
Ho provato anche a fermarmi per 6 mesi, per un anno, viaggiando e basta, ma non è servito a niente. Ho creato solo più vuoto e ne sono uscito con zero risposte e ho dato fondo a risparmi che adesso potevano servirmi per mangiare o per rifarmi una vita una buona volta. Non so come uscire da questo maledetto loop.
Voi, e con voi intendo quelli come me, i disadattati, i "troppo" qualcosa per stare bene nel mondo; voi che fate per stare a galla? Perchè siete ancora vivi, cos'è che vi illumina da dentro e vi da la forza di alzarvi al mattino e pure con un sorriso in faccia? Come si esce da questo stato d'animo che nasconde più di vent'anni di sofferenza passata? Come si raddrizza un albero cresciuto storto da sempre, a parte farne legna per il camino?
Gio
17
Nov
2016
Mi sento ignorante
Diciamo che a scuola non ho mai brillato. Sì, avevo la sufficienza o il "7-8" massimo. Adoro leggere ma studiare poi le materie scientifiche o la matematica proprio no. Sono un tipo curioso, quindi la voglia di sapere non mi manca ma ammetto che da quando ho iniziato a lavorare, parecchi anni fa... Mi sono un po' arrugginita. Una cara amica ha sostenuto un esame per una specializzazione in una branca di medicina (che comprende vari test di varie tipologie) e l ha superato benissimo, non a pieni voti ma l'ha superato. Per ridere mi ha sottoposto una simulazione dell anno scorso su cui provare anche io. A parte per le domande troppo specifiche-mediche, a cui per ovvietà non so rispondere, mi sono trovata veramente in difficoltà anche con le altre. Facevo molta fatica a concentrarmi e a comprendere le domande. Anche quelle di logica o di interesse sociale. Fatte le 100 domande, ovviamente sono risultata non idonea e anche di molto!! Mi sono veramente sconfortata. Mi sono sentita una stupida. Io e questa ragazza siamo molto amiche, siamo molto simili e abbiamo interessi comuni. Però mi sono sentita inferiore. Ma porca vacca, quanto bisogna essere intelligenti per superare questi test? Io credo che se anche mi applicassi mesi a studiarle non ce la farei comunque. Non è bassa stima di me stessa ma sono veramente arrivata a pensare che certe persone siano corredate di un quid in più. Boh, mi sono veramente sentita un ebete. Provo un po' di invidia, buona ma di invidia.
Sab
22
Ott
2016
Intellettualoidi.
Quanto detesto gli intellettualoidi e i finti intelligenti. L'intelligenza, quella vera, non ha nulla a che fare con l'arroganza. L'intelligenza prevede mezzi di introspezione che ti rendono obiettivo, troppo facile incolpare sempre gli altri per i propri fallimenti. Intelligenza non è cercare di affossare il prossimo nel vano tentativo di sentirsi meglio e colmare il proprio vuoto interiore. Cercare se stessi va bene, però poi bisogna anche trovarsi, stringersi la mano e fare pace con il cervello!
Mar
23
Ago
2016
S.O.S-vi racconto la mia vita
Questo post è chilometrico, ma chiunque avesse la pazienza di leggerlo avrebbe tutta la mia gratitudine. Non sono mai riuscita a farmi capire da nessuno, e lo so che allora è un po' stupido riversare la propria sofferenza in internet...ma il sito dice "sfoghiamoci" e allora io lo faccio in grande, no?
Sono nata da una madre e un padre che all’epoca avevano rispettivamente 39 e 54 anni. Lei con la terza media, proveniente da una famiglia povera del Veneto e con alle spalle gravi abusi fisici e psicologici da parte di mio nonno materno su tutto il suo nucleo famigliare. Mio padre lombardo DOC, proveniente da un paesino bergamasco dell’anteguerra e orfano a pochi anni di mio nonno paterno; passato per la seconda guerra mondiale nei primi anni della sua infanzia dato che è nato nel 1938. Queste condizioni sfavorevoli di vita li hanno portati a essere persone problematiche: ansiosi, angoscianti, freddi, sfiduciati e degli incompetenti emotivi totali. Mio padre non ha mai fatto carezze, dato baci o scherzato su qualcosa, non ha mai fatto un regalo se non precedentemente concordato; mia madre faceva qualche carezza, ma era sempre cupa e vittimistica, e passava il tempo a lavorare o andare a messa e confessarsi, dato che era cattolica estremista.
Nonostante ciò hanno fatto subito un figlio quando si sono conosciuti (mia madre aveva 19 anni…), poi per vent’anni basta, niente più figli, finchè alla soglia della menopausa precoce di mia madre, in quello che mi hanno detto essere stato l’ULTIMO dei loro tristi rapporti sessuali, sono stata concepita per errore.
La prima accoglienza che ho ricevuto in questo mondo, la prima emozione che ho sentito, anziché la classica gioia di due persone che stanno per diventare genitori, sono state la paura terribile di mia madre e la proposta di mio padre di abortire. E il fatto che lei abbia voluto tenermi solo per fare un dispetto a mio padre e perché aveva paura di andare all’inferno se si fosse presa delle libertà col suo embrione… non è di grande consolazione.
Poi se ne sono fatti una ragione e si sono buttati nell’impresa di crescere un altro bambino cadutogli fra capo e collo, ma intanto il danno era già fatto. Da che sono venuta al mondo, già dalla prima settimana in ospedale, mi sono rifiutata di mangiare. Ero deboluccia e non avevo la minima voglia di crescere come gli altri bambini, non passava più di un mese senza che mi venisse qualche malattia. Al nido e all’asilo piangevo e vomitavo tutte le mattine. Vivevo in simbiosi con mia madre, che mi “amava” ma al tempo stesso mi avvelenava col suo attaccamento perverso, con la sua ansia, con le sue paure irrisolte. Ora so che soffriva di depressione clinica e con tutta probabilità anche di psicosi, ma nemmeno questo è granchè consolante. All’epoca non lo sapevo e per me lei era una figura d’attaccamento mostruosa, una fonte di affetto tossica, da cui però dipendevo. Tutte le sere prima di dormire mi raccontava le atrocità che faceva mio nonno alla famiglia, mi faceva guardare i film horror, riteneva normale che io alla richiesta di disegnare “la mia famiglia” producessi una schiera di crocifissi.
Mio padre, invece, era ed è sempre stato assente. A volte provava a giocare con me, ma forse non ne aveva granchè voglia o si sentiva stanco e impacciato, perciò non ci si impegnava molto. Lavorava tutto il giorno, e anche mia madre ha ripreso a lavorare tutto il giorno quando io avevo pochi mesi. Sui suoi diari c’è scritto che ero una bambina buona, socievole, che non cercava granchè le coccole ma intanto saltava in braccio agli sconosciuti. Io aggiungo che già allora dimostravo di essere sveglia e intelligente, che ero curiosa di tutto e mi piaceva scoprire il mondo. Non ero granchè bella ed ero sotto gli standard di crescita normali, infatti credo che lo sviluppo dell’intelligenza sia più che altro una reazione al fatto di non essere ammirati per altre qualità come l’altezza o l’aspetto fisico. Non so se sia così per tutti, ma per me lo è stato di sicuro.
Cercavo in ogni possibile modo di essere amata, di ricevere quell’amore pulito e incondizionato che i bambini dovrebbero avere, e che io non ho mai conosciuto. L’amore che ricevevo era sempre legato a qualcosa che facevo o non facevo, mi veniva detto di darmi una calmata, di smetterla di piangere e star male, di star seduta e buona, di “mettermi nei panni di mia madre” ecc. Mio fratello, ormai grande, è uscito di casa quando io avevo 4 anni, enfatizzando la depressione e l’isteria di mia madre e inasprendo il clima famigliare.
La casa che ricordo è un appartamento che nessuno puliva, pieno di giochi e libri e quindi di stimoli cognitivi (non posso dire che i miei genitori me li abbiano mai fatti mancare), ma pieno anche di inquietudini e odio e vuoto di stimoli emotivi. Mentre io ero una bambina estremamente sensibile, che avrebbe preferito di gran lunga usare il canale emotivo e corporeo più che quello logico.
Appena ho imparato a parlare sono stata tirata in ballo nei litigi di coppia; appena ho avuto la schiena abbastanza dritta per reggermi su un seggiolino della bici sono stata sbolognata tutto il giorno all’asilo nido e poi all’asilo, e quindi fino a sera da mia nonna. Mi sentivo abbandonata e tradita, ma all’epoca queste emozioni non avevano questi nomi. Venivano fuori sotto forma di sintomi psicosomatici e di un senso di dolore e oppressione terribili, che mi facevano scoppiare a piangere disperatamente non appena qualcuno mi spaventava o mi criticava. Perché, pensavo, se non si accorgono nemmeno di me, se non conto abbastanza da valere un po’ del loro tempo, allora sicuramente sono io che ho qualcosa che non va.
Già allora avevo problemi coi coetanei. Da una parte ero un esserino giocoso ed espansivo, coinvolgevo tutti in giochi di ogni tipo e, devo dire, molto fantasiosi; dall’altra ero estremamente insicura e mi appiccicavo tutto il giorno alla porta a vetri per vedere se arrivava la mamma. Questo era dovuto al mio non sentirmi abbastanza amata, ma soprattutto al bisogno patologico che mia madre aveva instaurato nei miei confronti: mancandole il primo figlio e odiando il marito, io ero diventata il suo unico appoggio affettivo. E così si aggrappava a me, in un’età in cui se tiri troppo forte si spezzano le braccine e le mani. Non sono mai riuscita a reggere tutta la sua ombra, ma al contempo avevo un disperato bisogno di guarirla, volevo che stesse bene e che sorridesse, e che mi volesse bene… e nell’ideale di onnipotenza che hanno tutti i bambini, probabilmente mi ero messa in testa che era colpa mia se lei non stava bene, che se mi fossi comportata meglio o adeguata a ciò che mi chiedeva, allora avrei potuto operare il miracolo. Ovviamente non è stato così. Ma quella bambina di pochi anni crede ancora di poterlo fare, di essere la causa delle malattie mentali di una madre che a sua volta è stata maltrattata e abusata dalla famiglia.
Inevitabilmente, insieme alla voglia di prendermi cura di lei, in un’età inappropriata in cui avrei avuto io per prima bisogno di cure, è germogliato un senso potente di risentimento e di rabbia nei confronti di questa famiglia incompetente che mi lasciava maltrattare dalle suore (forse il termine corretto è abusare, dato che suor Giuliana mi portava in una stanza vuota, mi tirava giù i pantaloni e mi sculacciava per vari minuti sulla pelle nuda; oppure mi metteva al centro della classe e ordinava agli altri bambini di umiliarmi finchè non avessi smesso di piangere), che mi lasciava soffrire senza offrirmi un appoggio sicuro e fingeva di non vedere il mio dolore -o forse non lo vedeva davvero-, che mi diceva che il mio malessere era una sciocchezza, che mi faceva dubitare di me stessa e di ciò che avvertivo dentro di me (ancora adesso ho un grande bisogno che le persone mi credano quando gli dico le cose, tanto che mi sento in dovere di spergiurargliele anche quando sono vere e quindi sembra che io stia raccontando cavolate…), che non offriva nessun tipo di contenitore e di esempio per la mia personalità in formazione.
Credo sia per questo che dentro di me c’è sempre stato un lato libero, indipendente e selvaggio; e insieme un altro molto instabile e impaurito, tipico di chi non ha avuto delle fondamenta stabili all’inizio della sua vita. La terza cosa che è nata in me in quel periodo, oltre al desiderio di guarire la mia famiglia e all’odio, è il senso di colpa per non essere riuscita nel mio intento. E’ da lì che nasce la mia idea di essere sbagliata. Non sono riuscita a compiacere la mia famiglia abbastanza da farmi desiderare e amare… abbastanza da farmi quantomeno accettare per quello che sono… e quindi ne ho concluso che se nella mia vita qualcosa va male l'imputato sono sempre io.
Dopo l’asilo è arrivata la scuola. A scuola stavo bene. Facevo amicizia abbastanza facilmente, ero più sicura che all’asilo, mi piaceva studiare e mi stavano simpatiche le maestre. Le elementari sono state effettivamente il periodo più tranquillo della mia infanzia. Avevo dei momenti in cui ancora piangevo a dirotto o manifestavo un’insolita timidezza, però nei miei ricordi sono molti di più i momenti belli di quelli negativi. Il mio disagio si era momentaneamente addormentato e veniva fuori solo nei disegni e nelle tematiche macabre dei miei giochi. Il resto erano compiti, attività in classe, intervalli in giardino. Ero molto creativa, molto brava in tutte le materie (tranne educazione fisica, cosa comprensibile dato che la mia famiglia non ha mai considerato il corpo o l’ha mortificato, e mi diceva sempre di star seduta e non essere “irruenta”, anche se magari stavo facendo una semplice corsa per casa o al parco come fanno tutti i bambini…). Non sono sicura che siano nati qui i primi problemi di invidia dei miei compagni verso di me, ma probabilmente dalla quinta elementare ho iniziato a rendermi conto che io ero più avanti degli altri e che se “esageravo” nel mostrare la mia intelligenza loro ci rimanevano male e mi escludevano.
Questa cosa è invece esplosa alle medie, soprattutto gli ultimi due anni. Le medie sono state in assoluto il periodo peggiore della mia vita. Nei primi mesi no, non ancora, perchè ci dovevamo tutti ambientare e a me piaceva l’idea di studiare materie un po’ più “difficili”, anche se in classe quasi sempre mi annoiavo dato che la mia testa correva avanti e (senza falsa modestia) molte cose le sapevo già. All’inizio infatti alzavo la mano continuamente per rispondere alle domande, facevo temi lunghi e dettagliati, sproloquiavo di materie scientifiche e, a parte la solita ora di educazione fisica dove i miei coetanei si prendevano tutte le loro rivincite, ero la migliore della scuola.
E’ stato allora che i miei compagni hanno iniziato a odiarmi. Prima gli davo solo fastidio, col passare del tempo l’intera classe (tranne le mie uniche due amiche) ha deciso che era ora di mettermi un freno. Così tutti hanno iniziato col parlarmi alle spalle, poi in faccia apertamente; a prendermi in giro per qualunque cosa mi mettessi addosso o mi piacesse (poteva essere un libro, un astuccio, una felpa, una musica… qualunque cosa). Non mi invitavano più alle feste, e se io gli portavo comunque un regalo di compleanno loro lo buttavano nel cestino davanti a me; mi scrivevano offese sul banco, mi nascondevano le cose o le buttavano via, una volta sono tornata dall’ora di educazione fisica e ho visto che qualcuno mi aveva vomitato nello zaino. I maschi più violenti mi minacciavano anche fisicamente, chiedendomi se volessi botte, facendo cricca all’ingresso della scuola e spaventandomi quando uscivo. Fra loro e fra mia madre che mi ripeteva continuamente di quanta gente ci fosse nascosta dietro i cespugli pronta a saltarmi addosso, il semplice tragitto casa-scuola per me si trasformava in un bagno di paura.
Il risultato è che io mi sono isolata sempre di più e, come difesa, ho idealizzato la mia intelligenza. Mi ritenevo un essere superiore, troppo particolare per scendere a patti con gente del genere e col loro mondo fatto di parolacce, fotografie di attori, sputi, bigiate e minacce. La mia prima adolescenza è costellata di ricordi solitari, di me che mi chiudevo in classe a leggere anche quando c’era l’intervallo, di me da sola nella mia stanza che facevo i compiti e mi intrattenevo con le mie fantasie, di me che scrivevo e vincevo premi letterari e partecipavo a show televisivi, ma intanto non avevo praticamente nessuno con cui parlare senza essere giudicata, senza la preoccupazione di dover essere “simpatica, easy, una ragazzina come gli altri”.
Quello è anche il periodo in cui ho ricevuto un sacco di critiche sul fatto che ero troppo seria, che dovevo muovermi a farmi degli amici e uscire per fare “cose da ragazzi” con loro, che dovevo vestirmi da adolescente e ascoltare musica da adolescenti e -per piacere!- non eccellere in ogni cosa, altrimenti tutti mi avrebbero odiato a morte!
E io invece, col carattere guerriero che ho, anche se dentro ero spezzata in due e mi sentivo triste come non so cosa, ho perseverato nel prendere tutti voti massimi, nell’ascoltare la musica che volevo e nel vestirmi come cavolo mi pareva. Era quel meraviglioso periodo in cui non accettavo di scendere a patti con le critiche. Non mi scivolavano addosso: le prendevo tutte in pancia come delle frecce e mi ferivano tantissimo, ma quantomeno non gli sottostavo. In quel periodo ho iniziato ad andare dalla psicologa, perché non sapevo dove sbattere la testa e mi sentivo un alieno totale rispetto al mondo che mi circondava.
A scuola era uno schifo, tornavo a casa e trovavo una situazione sempre più degenerata, con due persone ormai quasi estranee che si urlavano contro e mi coinvogevano nei loro meccanismi malati; con mio fratello distante e con un figlio da crescere, un fratello a cui non veniva detto mai niente su quello che stava succedendo in casa; senza un vero amico se non quelli che stavano dentro la mia testa e senza nessuno che mi desse un esempio o un modello da seguire.
La psicologa è stata una benedizione per me, e probabilmente grazie a lei ho imparato ad avere fiducia nella psicologia. Mi ha aiutato a finire le medie senza rimanerci secca, anche quando i miei compagni sono passati dalle parole ai fatti e, l’ultimo giorno di scuola, mi hanno lanciato un banco addosso. Anche quando per urlare il mio odio ai miei genitori e al mondo ho bevuto un flacone di detersivo e sono finita in ospedale. Quando finalmente è passato quel periodo, ho fatto un anno di liceo classico, buttandomi nello studio in un modo talmente maniacale che sono crollata appena finito un semestre. La situazione a casa era sempre peggio. Litigavamo tutti con tutti, tutti i giorni. Mia madre faceva gesti teatrali come inseguirmi con un martello o lanciare oggetti per terra, mio padre faceva la “roccia” e la ignorava, facendole venir voglia di strillargli dietro ancora di più per smuoverlo e fargli dire qualcosa (un comportamento che purtroppo capisco, dato che lo sto attuando pari pari a mia volta…).
Io mi chiudevo nella mia camera e scrivevo. Nell’estate tra le medie e il liceo ho scritto il mio primo romanzo, senza dire niente a nessuno. I miei genitori non hanno saputo niente, se non quando un editore l'ha pubblicato a proprie spese tre anni dopo… quando l’ho finito ho brindato da sola con me stessa, in cucina, nel buio della notte. E' stato il momento più felice della mia vita.
Mi ricordo tantissimo, ma proprio sulla pelle, quanto soffrivo in quel periodo a causa della mia età. Nessuno mi dava retta perché dicevano che ero troppo giovane, ero minorenne e quindi per lo Stato non esistevo e non potevo firmare da nessuna parte, quando scrivevo su internet mi scambiavano per un troll che si “spacciava per una ragazzina”. Mi sono sentita dire che le mie poesie erano troppo complicate e troppo tristi per una della mia età, che le femmine non devono scrivere cose così paurose o violente, che sembravo depressa o autistica, che mi dovevo vivere la mia vita e imparare a godermela. Tutto questo ovviamente detto da gente che non aveva la minima idea di quanto fosse vasta la gamma delle emozioni che provavo, di quanto fossi sensibile e di come godessi di cose che loro nemmeno capivano, come l’estasi della bellezza di una musica, trovare un buon libro in biblioteca, stare nella natura che mi è sempre piaciuta da morire, stare coi miei due amici a PARLARE di noi stessi e condividere le nostre giornate e il nostro affetto, anziché a ubriacarci e drogarci.
Mi piaceva viaggiare, mi piaceva vedere i quadri e i musei, adoravo leggere e giocavo ai videogiochi (di tutti i tipi, dai medievali e fantasy al simulatore d’aerei) come se non ci fosse stato un domani. A guardarmi da fuori adesso, a distanza di tempo, avrei detto a me stessa che ero una ragazza assolutamente normale, che magari si vestiva con tute larghe o maglie etniche anziché stivaletti e calzamaglie, che traeva nutrimento e vita da cose più “mature”, che era un po’ taciturna ma quando si trovava nell’ambiente che le piaceva allora si trasformava nella più solare delle persone.
Ma allora ero davvero convinta di essere diversa, e dannata. Non sapevo cosa fare per piacere di più agli altri, non sopportavo più di vivere in casa coi miei genitori, non sopportavo la mia vita. Ho iniziato un altro periodo di protesta verso la mia famiglia, con un comportamento anoressico che in realtà era un vero e proprio sciopero della fame, in cui mi sono ridotta a poco più di 30 kg e sono finita di nuovo in ospedale con la chiara intenzione di morirci.
Ma non è successo. In ospedale è scattato qualcosa e ho ripreso a mangiare. Sono andata a casa e ho espresso chiaramente ai miei che me ne volevo andare. Ho preso possesso dei soldi che mi aveva lasciato mia nonna e a 16 anni ho comprato una piccola casa, la MIA casa. Ho trovato lavoro in panificio, cosa che mi costringeva ad alzarmi all’alba e spararmi tre ore complessive di treno e pullman al giorno, ma ero felice. Vivevo come volevo io, mangiavo quello che mi piaceva (ero vegetariana da un paio d’anni e mia madre era sempre stata contraria a questa scelta), potevo usare i soldi che guadagnavo per tutto quello che mi serviva. I primi tempi ho avuto paura di non farcela, mi sono scontrata con le bollette da pagare e il fatto che io non potessi avere un conto in banca poiché minorenne; con la solitudine di una casa vuota, col fatto che ovviamente la gente non si risparmiava i commenti sul fatto che solo una disadattata o una sfigata va a vivere da sola a quell’età…
Dopo un anno e mezzo di quella vita, ho deciso che lavorare andava bene, ma forse era meglio anche finire le superiori e prendermi un diploma. Così ho messo in pausa il lavoro serio e ho fatto solo lavoretti saltuari, mentre recuperavo gli anni come privatista. E’ stato davvero, davvero difficile. Ero stanca morta, avevo pochi soldi, ma ce l’ho fatta comunque. Sono uscita con 97 su 100.
Il diploma mi aveva caricato molto. Ormai mi ero stabilizzata in casa mia, stando separata dai miei genitori riuscivo a parlarci di più, avevo deciso che avrei provato il test di medicina e che intanto per quell’estate avrei fatto una festa e viaggiato. La festa del diploma è stato l’ultimo momento di pace che ricordo. Eravamo tutti nel giardino a casa di mia madre, con fiori e candele, un sacco di cibo e persino un illusionista che avevo invitato per intrattenere gli ospiti. Ho delle foto di tutti noi con corone di foglie in testa e dei bellissimi sorrisi, sorrisi che non ho mai visto nella mia famiglia.
E poi la mazzata, perché quell’anno del cazzo era il 2011. L’anno in cui ho fallito il test di medicina per un punto e mezzo. L’anno in cui non sapendo cosa fare come università, anche perché quasi tutte erano col test di ingresso e ormai le date erano passate, ho deciso di trasferirmi vicino a Bologna per fare erboristeria e ho affittato la mia preziosa casa a un ragazzo che si è rivelato essere un delinquente. L’anno in cui la mia famiglia mi ha taciuto il tumore mortale di mia madre, per abbastanza tempo da farmi portare tutte le mie cose a centinaia di chilometri da Milano per poi farmi cadere dal pero in una serata di settembre, quando l’ho trovata in bagno che vomitava feci e siamo corsi immediatamente in ospedale, e allora sono stati costretti a dirmi cosa stava succedendo.
Immaginatevi me, in una casa in affitto in Emilia-Romagna, che inizio un’università nuova senza il minimo appoggio morale di nessuno, e intanto provo a cercare lavoro a Bologna, e nel mentre vengo a sapere che mia madre sta morendo e che il mio inquilino, che non mi paga e mi sta sfasciando la casa, va sfrattato con una procedura legale lunga e costosa.
Le uniche cose che mi hanno salvato in quel periodo sono state la scrittura e la spiritualità. Frequentavo un gruppo neopagano, una cosa che mi ha arricchito molto e che mi ha aiutato a pensare alla morte come una porta che da un’esistenza conduce a un’altra. Che mi ha aiutato a vedere un po’ di magia e di sacro in ogni angolo del mondo e in ogni stadio della vita umana, anche quelli più difficili.
Mia madre è morta quasi subito, il giorno di Natale del 2011. Sono stata io la prima a trovarla morta. Già da un bel po’ le somministravano morfina e quindi non si rendeva conto delle cose, ma ricordo che quella mattina aveva gli occhi perfettamente assennati, anche se immobili, e un’unica lacrima che le scendeva da una palpebra. Sono sicura che si sia resa conto di cosa stava capitando. Proprio il giorno dopo è morto anche il mio coniglietto, dopo dieci anni di onorata vita. Ho sempre detto che me li immagino insieme nell’aldilà, con lei che cerca il trifoglio per il suo piccolo amico. Finalmente libera. Finalmente sana. Finalmente se stessa.
Io ho retto il colpo abbastanza bene, anche se pure a distanza di anni continuo a piangere. Credo invece che mio fratello non si sia più ripreso. Nella mia famiglia le donne non sono mai state molto considerate e il loro “posto” è sempre stato la pelatura delle patate in cucina, ma sotto sotto tutti i maschilisti venerano la propria madre e, in sua mancanza, affibbiano le sue competenze (anche affettive) alla diretta erede. Cioè io. L’ultima donna rimasta fra i parenti stretti.
Questo è un ruolo che io ho rifiutato subito. Secondo i fratelli di mia madre, io avrei dovuto prendermi cura di loro come faceva lei, anche se ormai sono belli che adulti; secondo mio fratello, io avrei dovuto fare la badante di mio padre e prendermi cura di lui ora che lei non c’era più, nonostante loro due si fossero detestati apertamente e negli ultimi mesi prima che lei si ammalasse avessero (finalmente!) scelto di vivere separati anche se la religione cattolica vieta il divorzio.
Io ho detto a tutti che nessuna di queste “mansioni” mi passava nemmeno per la testa.
Sono tornata a Milano, sentendomi dire da mio fratello che ero una pazza che non finiva mai quello che portava a termine (eh sì, contorto il ragazzo… da una parte voleva che io mi prendessi cura di mio padre, ma dall’altra non gli stava bene che io tornassi a Milano. Bah). Ho trovato un lavoro che pagava bene e ho preso una casa in affitto in città, nel mentre che sfrattavo l’inquilino imbecille.
E intanto ho provato, per la seconda volta, il test di medicina. Però stavolta ho voluto andare sul sicuro e ho fatto anche quelli di professioni sanitarie e di psicologia, sperando che almeno in uno sarei entrata…medicina no. Inarrivabile. Ma sono entrata negli altri due, fisioterapia e psicologia. E ho scelto psicologia. Così sono passati i miei primi due anni di università, un anno con un po’ di lavoro, poi un periodo senza lavoro, poi un periodo massacrante di lavoro in un ristorante in cui ho perso un sacco di esami. La vita non andava bene, anche se avevo pubblicato il mio secondo romanzo, facevo teatro ed ero riuscita a riprendere possesso della mia casa. Non ero riuscita a farmi un solo amico all’università, odiavo Milano e abitavo comunque a più di un’ora di treno+pullman dalla città. Mi sentivo isolata e molto, molto sola.
E’ stato in quel periodo che ho conosciuto su internet un’amica torinese. Siamo entrate subito in sintonia, eravamo molto curiose di conoscerci e scambiare esperienze. Lei era una persona un po’ triste e anche lei con una famiglia del cavolo, ma abbiamo allacciato subito una di quelle amicizie intime, brucianti, praticamente da sorelle. Dunque mi sono trasferita a Torino a finire la triennale, sia perché avevo sentito parlare bene dell’università di psicologia e avevo l’intenzione di farci la magistrale, sia per stare vicino a lei. Ho fatto abbastanza fatica coi documenti per l’università, ho fatto una grande fatica a dirlo a mio padre e a mio fratello.
Entrambi erano assolutamente scettici sul fatto che io finissi l’università, mio fratello mi ha proprio detto in faccia che tanto sarei tornata a Milano dopo qualche mese con la coda fra le gambe, proprio com’era successo con Bologna. Ma non l’ho fatto. Ho affittato prima una mansarda in centro e poi una casa più grande, dove sto scrivendo in questo momento. Ho incontrato finalmente delle amiche serie che facevano psicologia come me, e con loro posso dire di aver vissuto veramente i momenti di apprensione, follia e giovinezza della vita universitaria. Penso che loro, in particolare una, siano state le uniche persone al mondo ad accettarmi veramente, con tutti i miei casini e il mio passato problematico, senza volermi aggiustare, cambiare o distruggere.
L’anno scorso mi sono messa a dare esami a raffica per recuperare il tempo perso e riuscire a laurearmi. Ho ottenuto il mio risultato, mi sono laureata in corso e con un voto più che dignitoso. Ma intanto mi sono lasciata indietro un sacco di momenti di vita, di rapporti umani non vissuti, di giorni sereni che ho riempito solo con ansia e stress.
Mio padre e mio fratello hanno reagito alla mia laurea con un “ah ok, brava…”. Niente regalo, niente festa. Ovviamente. Non so bene per cosa mi voglia punire mio fratello, so solo che da quando sono a Torino non è mai venuto a trovarmi e non mi parla più nemmeno al telefono. E i suoi figli non vogliono vedermi. Quelle rare volte che ci vediamo dicono che io sono la zia “pazza e strana”.
E mio padre…ho cercato con tutta me stessa di aggiustare le cose, parlarci, provarci, risvegliare UN MINIMO di calore in lui. Ma non serve a niente. Lo odio. Lo odio in un modo antico, potente, vulcanico che è molto difficile da controllare. Non riesco a starci insieme per più di un giorno senza avere il desiderio di spaccargli la faccia, di ucciderlo pur di rompere quel cazzo di guscio che si è costruito attorno e non lascia uscire né entrare niente, né il calore di un qualsiasi rapporto umano, né le parole, né le emozioni o la vita.
Sto andando nuovamente da uno psicologo da un anno, ma non sento molti miglioramenti e fra noi c’è tantissima distanza. Lo vedo come un rapporto professionale, ma empatico solo a tratti. E sono cambiata, tanto cambiata. L’amicizia con la mia amica torinese si è arrestata quando ho capito che mi faceva più male che bene, perché non era quello che era stato all’inizio: era una relazione a senso unico in cui lei stava sempre male e voleva che io mi prendessi cura di lei (un po’ come mia madre insomma).
Per il resto sono una creatura morta. Ho buttato via i mei vestiti etnici perché ero stufa di come mi guardava la gente quando li mettevo e perché mi ricordavano tutte le prese in giro delle medie, respiro aria orribile, dopo ben 10 anni di felice vegetarianesimo ho ripreso a mangiare la carne solo per fermare quel fiume di gente che ogni volta che mi sedevo a tavola mi faceva il processo sulle carote che soffrono, mi tempestava di domande che non erano curiosità ma frecciate, e augurava il cancro a me e ai miei poveri figli (quali figli poi non si sa, dato che non ne ho e non ne voglio…); che mi dava dell’idiota, della malata di testa, della persona mentalmente chiusa o della puritana.
Ho iniziato a bere e ubriacarmi per lo stesso motivo. Se prima bevevo una birra artigianale o un liquorino ogni tanto perché gradivo il gusto che avevano, l’anno scorso ho iniziato a mandar giù qualunque roba alcolica e ubriacarmi fradicia, girovagando per serate e locali che odiavo, solo perché così sono “come tutti gli altri ragazzi giovani”.
Ho dimenticato completamente la spiritualità, non scrivo più da un anno, non promuovo i miei libri e le mie capacità teatrali non sono state più coltivate. Sto diventando un’ombra, triste, aggressiva, piatta come il resto delle teste di minchia che popolano questa nazione. Non riesco a capacitarmi che qualcuno mi voglia bene e infatti do ingiustamente addosso anche alle poche persone che me lo dimostrano, facendo gaffe bestiali e buttando su di loro i miei sbalzi di umore.
Ho 24 anni e mi sento vecchia e stanca, non ne posso più di dover curare la casa, di dover cercare lavoro mentre studio, di dover fare l’adulta e poi passare subito in modalità ragazzina scialla se no ai miei coetanei non piaccio. Mi sento male perché sono l’unica della mia età a non pensare sempre a scopare, non ho un ragazzo o una ragazza, ho una sessualità tutta particolare e non ho ancora trovato nessun partner che la capisca o che veramente sia in grado di volermi bene e instaurare con me una relazione paritaria. Ho bisogno d'affetto come tutti gli altri, anche se sono indipendente e matura, ma i miei coetanei (diciamo pure anche quelli fino a 35) sono dei ragazzini mentalmente limitati, e se sono più in là con l'età mi vedono solo come una dolce "bambina" da fottersi- scusate il francese-.
E io, in sostanza, non so più chi cazzo sono.
Ho scritto questo bel papiro perché voglio urlare che le cose stanno così. CHE IO STO MALE, e non è una “boiata”, un “lamentarsi a vuoto”, è un dolore atroce che probabilmente neanche conoscete e io non permetto più a nessuno di sminuirlo dicendo che “boh, forse un giorno passerà, sei così giooovaneeee”. E’ tutta la vita che sto male e io non ne posso più. Non so cosa fare, veramente certe volte non vedo via d'uscita e vorrei soltanto addormentarmi dolcemente.
Se sei arrivata/o fino a qui, hai veramente una grande pazienza e probabilmente la curiosità o la voglia di ascoltare e capire. Magari dimmi cosa ne pensi di tutto ciò, che cosa faresti tu… anche solo una riga o due. Mi aiuterebbe davvero, davvero tantissimo in questo momento buio.
Grazie mille...
Mar
12
Lug
2016
Sì, spesso penso di essere migliore di molte persone.
Mi accade spesso di confrontarmi con "individui" con cui solitamente consivido l'ossigeno (alias: esseri umani), e mi rendo conto che l'idiozia in un mondo come questo, ahimè, regna sovrana. Non si riesce ad apprezzare il vero valore delle cose... e anche e sopratutto DELLE PERSONE COME ME.
Non sono bello, non lo sono mai stato e probabilmente mai lo sarò (anche se non si può mai sapere, considerando che sono in un periodo di cambimenti come solo l'adolescenza può essere), ma se qualcosa mi contraddistingue è indubbiamente l'intelligenza e la capacità di saper mettere due parole in croce senza iniziare ad esprimermi con versi confusi e inarticolati. Sì, so parlare. Se lo faccio bene? Assolutamente sì, lo faccio più che bene. Come so scrivere altrettanto bene, e immagino che ciò si possa giudicare da questo mio testo. Ho una preparazione lessicale/terminologica eccelsa per la mia età, e sono un buon conoscitore di svariate discipilne sia scentifiche sia umanistiche.
Non dico spesso ciò per paura di risultare appunto il classico "Saccentone superbo", ma, in tutta sincerità, per usare una frase terra-terra: ME NE SBATTO ALTAMENTE! Fosse per me lo griderei, ma non ho voglia di sentirmi dire che soffro di chissà quale complesso di inferiorità, e che quindi sono portato ad un' "elevazione" forzata della mia persona mirata allo screditare gli altri per sentirmi realizzato.
Io posso permettermi di essere il classico "Saccentone superbo", perchè ho molte più capacità di coloro con cui spesso entro in contatto... quando mi si dice: "Sai, lui/lei è intelligente come te. Ha la tua stessa capacità dialettica e sa cavarsela bene con le parole; proprio come te", beh, devo essere franco, a me quando accade ciò viene solo da ridere. Scoppierei in una fragorosa risata, perchè succede di rado che qualcuno sia migliore di me in questo campo.
E poi odio i confronti, li ho sempre odiati. Sopratutto se, come accade a volte, mi si mette a paragone di certi soggetti che non arriverebbero ai miei livelli nemmeno con l'ascensore! Penso sia offensivo, non trovate?
Sarò una persona insicura perchè devo auto-convinvermi di essere migliore dei "Più"? Probabile. Oppure sono soltanto una persona che sta esplicitanto a se stesso un dato di fatto.
Buona vita!
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