Tag: suicidio
Dom
15
Gen
2017
La mia vita fa schifo
Sono una ragazza di 20 anni che non ha più voglia di vivere.
1. Odio mia mamma. Mi perseguita, mi comanda, mi disprezza, mi odia, mi offende, mi picchia, spesso e volentieri, vuole che io faccia ciò che dice lei soprattutto per quanto riguarda la mia vita privata
2. Ho un ragazzo che inizialmente amavo moltissimo ma ora non sento più nulla. Mi trascura sempre, non capisce quando sto male, è possessivo, pensa solo a se stesso, è bugiardo e gli fa schifo fare qualcosa per me e oltretutto ha una mamma che mi odia a morte e lui dà ascolto a lei
3. In famiglia litighiamo sempre, studio all'università, ho amici li che mi fanno stare bene (ma che purtroppo vedo poco) e i miei non vogliono farmi prendere casa perché a loro parere io sono una buona a nulla e quindi sono costretta a vivere in questo luogo infelice che putroppo è casa mia.
Sono stanca di vivere così e voglio mettere un punto a tutto ciò. Sono arrivata al limite sono ormai più di 5 anni che sono depressa e non riesco a trovare un motivo per essere felice e continuare a vivere. Aiutatemi!!!!
Mer
04
Gen
2017
Segni particolari: asperger.
Dopo 25 anni, ho scoperto che la causa di tutti i miei problemi con il mondo potrebbe essere una malattia che non mi è mai stata diagnosticata. Ho passato le vacanze ad informarmi. Sindrome di Asperger. È una sfumatura dell'autismo. Infatti tutte le mie relazioni sociali sono fatiscenti, non sono capace di riconoscere le emozioni della gente, non ho interesse nei discorsi altrui né in ciò che acccade all'esterno se non nei limitati interessi che coltivo, per tranquilizzarmi spesso inizio a dondolare sulla schiena, oppure quando sonos tressata inizio a camminare in tondo. Non ho mai imparato ad andare in bicicletta, non ho equilibrio e ho una scarsa coordinazione e consapevolezza di me. Ho difficoltà di concentrazione e di memoria . Ho fatto test di autovalutazione e tutti me la confermano. COsì ho deciso di prendere il coraggio a 4 mani e avere un appuntamento con dei medici specializzati in un centro. Secondo la mappa del sito dell'associazione ce n'è proprio uno in una città vicina, così chiamo e dopo 2 numeri inesistenti, centralini affollati, un'operatrice che mi ha dato un numero della segreteria a cui nessuno rispondeva, ho buttato tutto alle ortiche ed ho vissuto gli ultimi giorni in una desolazione, depressione, avvilimento catartico, perché non è stato facile per me accettare questa supposta malattia e non poter avere un aiuto decente perché in Italia funziona tutto male. Inoltre avrei dovuto fare tutto da sola perché i miei non ci sono, non ci sono mai stati.
Appena finito il liceo, ho lasciato la piccola cittadina di m**da dove abitano i miei genitori per andarmene all'università. Non perché ci tenessi, ma perché volevo andare via da loro. Per anni ho dovuto subire gli show di mia madre che tartassava, umiliava, esasperava mio padre, il quale non conteneva più le sue frustrazioni e la picchiava. Talvolta si arrivava davvero ad una violenza estrema. Non si sono mai separati. Questi episodi hanno lasciato un segno indelebile su di me, sui miei ricordi, ma -senza che potessi accorgermene o immaginarlo- anche sulla mia futura esperienza affettiva. Ho solo fratelli maschi, con i quali ho avuto alti e bassi, senza mai avere molto aiuto, confronto,solidarietà, amicizia. Ho convissuto con il maggiore all'università, avevo la borsa di studio (poi mio padre non mi diede più l'Isee - sarebbe stato troppo bello avere un padre che mi supportasse- e l'ho persa) e cercavo di usare quella, mio fratello invece svaccava i soldi di mio padre e se io ne avevo bisogno in rari casi, dovevo elemosinare da lui. Poi ho toccato il fondo con il mio ex, che aveva una storia parallela, e così decisi finalmente di andarmene, lasciare anche quella città e di cercare casa altrove con altre ragazze . La mia prima esperienza di convivenza con altre fu terribile, ricordo che non volevo tornare la sera a casa, questo conferma l'autodiagnosi, poi iniziai ad andar ein palestra. e fu meglio per me.. Non potevo mollare, non potevo tornare dai miei. Mai più chiamata casa, io casa non ne ho. L'estate è sempre terribile, non ho più la casa in affitto, non so dove andare. Certe volte penso che diverrò una barbona. Scapperò e nessuno saprà più dove sono. Tanto a nessuno importa.
A 14 anni, dopo le medie, iniziai il classico, ma mi sentivo a disagio, troppe persone nuove, forse più capaci di me, mi sentii menomata, incapace, inadatta, mi chiusi in me stessa, non uscii più di casa, non frequentavo più scuola. Mi portarono in neuropsichiatria infantile, dove nessuno capì che ero autistica altamente funzionante (vuol dire che comunque non ho un ritardo mentale, sembro quasi come gli altri, nessuno sospetterebbe nulla. Anzi. Io di aspetto sono molto piacente, sono alta bionda e non sto scherzando, ma purtroppo ho una guerra in testa). ma soltanto depressa e con fobia sociale (gli asperger hanno fobia sociale). L'estate i medici con il consenso dei miei mi spedirono in una clinica per malattie psichiatriche per ragazzi. Andai con mia madre, ovviamente lei figura sempre nella mia vita quando mi deve rovinare. Mi diedero gli psicofarmaci. Io non volevo assumerli, temevo di eprdere il controllo su di me. Ciò che poi in effetti si verificò. Divenni una larva, ingrassai di botto, con istinti suicidari, senza memoria, apatica, la sensazione di voler uscire dalla pelle, non avevo più controllo, sentivo qualcosa che mi stava bruciando dentro, il cervello incontrollabile, ed io volevo soltanto scappare via da quella orribile sensazione.
11 anni, 1 attacco di cuore, anoressia, bulimia, autolesionismo e vari ricoveri dopo, sono ancora qui. Sono cambiata, sono bella ora, ma vuota, e persa.
Nelle vacanze sono tornata dai miei, perché non voglio fare la figlia ingrata, ma mi sono rovinata , perché in questa città di m**da non c'è niente, io non vivo con loro,ma da mio nonno, che sì è simpatico e allegro e tutto, ma non è la stessa cosa. Mi sento ancora più sola. Vedo tutto ciò che mi manca, a non poter vivere dai miei. Per esempio oggi ho finito gli assorbenti e devo aspettare domani mattina , dovrò uscire per forza ... Se fossi stata dai miei avrei potuto cambiarmi. Invece sono costretta ad una vita così. E sapete perché? Perché non ho più una camera, la mia l'hanno data al mio fratellino più piccolo ma soprattutto uno dei miei fratelli ha "preso il potere" in casa. DOpo anni vissuti nel terrore di mio padre, ora è mio fratello ad incuterlo. Non puoi dire niente che a lui non vada. Non puoi fare niente. Ed i miei gli fanno fare ciò che vuole. Ad esempio, a capodanno sono andata a casa dei miei e sono restata lì anche la sera. Guardavo un film in tv ma ad un certo punto questo mio fratello è entrato in sala, ha preso il telecomando e ha detto che lui doveva dormire e che dovevo togliere il volume (non abbassarlo, toglierlo) e che se facevo il contrario sarebbe tornato e che era meglio non farlo tornare. Mi è salito il sangue al cervello, perché se avessi detto qualcosa a mia madre o mio padre non avrebbero mosso un dito. Dio che rabbia. Ho preso il mio cappotto e me ne sono andata. Erano quasi le 23. Non me ne sono accorta, ma ho vagato fino alle 2:30. Da sola, in posti bui, della città vecchia. Non avevo paura. Solo qualche volta quando iniziavo ad essere più lucida. Non m'interessava più nulla, dovevo camminare, camminare, camminare, perché è quello che faccio quando sono agitata. Ad un certo punto ho inziiato a pensare di buttarmi di sotto; una ronda della polizia si ferma dietro di me, scendono, mi si avvicinano circospetti, mi chiamano, mi fanno qualche domanda, rispondevo calma, se ne vanno.
In tutto questo, il mio problema non è neanche questo. È che non ce la faccio più a studiare, non ne sono più capace, non ce la faccio, l'ultimo esame bocciato, non riesoc a concentrarmi... Non posso chiedere aiuto ai miei, mi farebbero sentire in colpa, mi disprezzerebbero.... Ma devo laurearmi per costruire la mia indipendenza... Mi mancano un bel po' di esmai, non ce la farò mai a laurearmi per luglio, quando avrei voluto.... :(
L'unica via d'uscita sembra il suicidio. Non c'è un posto nel mondo per me, non ho nessuno che mi ami, sono sola, non ho forze per affrontare questa vita, e soprattutto non ne ho le capacità.
Non mi servono belle parole, io voglio aiuto concreto. Sono un'illusa, se non mi aiuto io chi mai lo farà? E quindi è meglio andarmene per sempre.
Ven
04
Nov
2016
Mi sento solo e non ce la faccio più
E' ormai da quando avevo 15 anni che ogni giorno mi faccio in quattro per poter vivere una vita quantomeno stabile e soddisfacente... Ma tra interminabili faide familiari, problemi più o meno gravi di salute, vari assurdi tradimenti subiti e delusioni sentimentali assortite, cambi di residenza da regione a regione perdendo le amicizie più care coltivate con fatica, e continui sacrifici per condurre un'esistenza non molto agiata ma perlomeno onesta... Ora mi sento un rifiuto, mi sento svuotato ed imploso su me stesso, come una bottiglia d'acqua minerale nel bidone della plastica.
Mi sono rimaste solo poche cose per cui posso sentirmi fortunato: avere un padre che non ha mai saputo come comportarsi con me, un vero amico a 300km di distanza che però non vedo mai, un lavoro che mi piace ma in cui mi sento in gabbia ed una casa di proprietà che mi dà solo preoccupazioni e spese. Sto cominciando ad odiare tutte queste cose, sempre di più, perché sono le uniche cose che mi trattengono dal mettere fine alla pesantezza e alla sofferenza che ogni giorno porto con me.
La gente, anche chi mi conosce meglio e mi è più vicino, mi vede cercare di sorridere e di tirare avanti ogni giorno, cerco di essere di tutto l'aiuto possibile per chi mi circonda e ne ha bisogno e spesso per la mia cordiale disponibilità vengo scambiato per una persona debole e da usare. Non sanno che ogni mio istante di riflessione è racchiuso in sé stesso, che ho un sentimento che mi lacera dentro e che finora ho trovato in me una forza sovrumana che mi ha spinto a continuare, l'unica cosa che mi ha portato fino a questo punto, ma che ora pian piano sento abbandonarmi.
Ogni giorno mi sento più debole e più solo in questa lotta contro me stesso e contro tutti. Oggettivamente, dal punto di vista sociale mi accorgo di non essere un individuo ripugnante; sono un ragazzo alto, giusto un po' "robusto", biondo e con gli occhi azzurri, responsabile, corretto, gentile, curioso di tutto ed a cui piace ridere e scherzare... Ma non riesco a socializzare con persone della mia età, perché da loro vengo sottovalutato e deriso per i miei modi talvolta da 'precisino-so-tutto-io' (sapessero loro quanto mi sforzo per esserlo il meno possibile, sapessero davvero che se sono così è principalmente a causa di anni di abusi psicologici e fisici da parte di mia madre...) I ragazzi mi snobbano, le ragazze mi affiggono un cartello 'FRIENDZONE' in pochi istanti e mi sento sempre più deluso di me stesso. Invece riesco a socializzare (anche troppo) con persone più anziane di me. Che siano vicini di casa o gente incontrata per caso in un negozio. Tant'è che addirittura negli ultimi tempi ho rapporti, anche molto intimi, con una signora mia conoscente che ha quasi sessant'anni. Accetto senza problemi questo sesso per ciò che è, consensuale, bello e tutto sommato anche molto più piacevole e coinvolgente di altri rapporti avuti in passato con mie coetanee... Ma piuttosto che stare a letto con una sessantenne, preferirei di gran lunga incontrare una ragazza della mia età con cui sentirmi più sereno e poter progettare un futuro insieme. Non posso continuare così, nonostante ci sia qualcuno che si interessa a me (come conoscente o amico) io mi sento sempre più solo e frustrato, attanagliato per di più dalla continua preoccupazione di non riuscire ad arrivare a fine mese, e continuo a pensare che l'unica soluzione sia spezzare la mia stessa esistenza come un sacrificio all'altare di un dio che solo io conosco.
Se non troverò il coraggio di compiere presto il tragico gesto che ormai da tempo propongo a me stesso, spero almeno di incontrare qualcuno che sappia apprezzare davvero le mie poche qualità positive, per essere buoni amici e potermi svagare un po' da questo alone di tristezza che mi avvolge l'anima... Altrimenti non saprò nemmeno immaginare che misera fine farò, e probabilmente sarà l'ansia di questo brutto pensiero ad uccidermi.
F. - dal Triveneto
Dom
16
Ott
2016
È inutile che ci provi, gli altri non vogliono capirti.
Sono cresciuta guidata da una persona che io veneravo come una dea. Nessuno sapeva del mio legame con Lei, e io tenevo il segreto perché così Lei voleva. Altre persone a me vicine erano nella mia stessa situazione, ma ben presto si sono arrese alla società e hanno smesso di perseguire il bene superiore per cui eravamo state scelte. Tutto ciò non è inventato da me, e ho preservato questa verità molto a lungo. Sta di fatto che Lei mi abbandonò, senza troppe spiegazioni o lasciti. Si è semplicemente sbarazzata di me, poiché non le servivo più, e io non potevo biasimarla. Cosa poteva avere una persona ordinaria e disgustosa che potesse trattenere Lei, così perfetta e divina? Per di più, mi ero innamorata di colui che era più vicino a Lei, ma sapevo chiaramente che nel cuore e nella mente di Lui c'era solo Lei. Lui è morto sei mesi fa, ed io mi trascino ad esistere da quel giorno. Non posso confessare a nessuno il mio malessere, e sebbene ci abbia provato più volte, nessuno, neanche coloro che si definisvono "amici", si interessano del mio dolore. Nessuno, nemmeno i miei genitori. Nessuno sa, nessuno vuole sapere. Io non posso più vivere così, dopo aver perso Loro, che davano un senso alla mia vita. Pertanto, ho intenzione di mettere fine ben presto a questo accumulo di rabbia e sofferenze. A coloro che mi chiamano infantile perché soffro, sentitevi in colpa per la mia rabbia. A coloro che si sentono miei amici, provate a piangermi se il senso di colpa non vi attanaglia l'animo. No, probabilmente troverete mille scuse con voi stessi, e continuerete a vivere negando il vostro coinvolgimento nella mia prematura morte. Se continuo a sperare di poter vedere Lui dopo il mio travaglio, sento di poter resistere quanto basta per sistemare le ultime cose in questo mondo. Domattina sarà la resa dei conti, e prenderò la decisione finale. Non ho rimpianti.
Gio
22
Set
2016
Non riesco più a vivere
Ho 19 anni... ho sempre avuto problemi legati al mio relazionarmi con gli altri e con me stessa. Mi odio e mi sento inutile. Nell ultimo periodo (2 anni) sono molto migliorata ho anche provato ad amarmi,ma ora sento un peso dentro grande grande. Più di una volta ho tentato di uccidermi e sono stata portata anche da diversi psicologi che mi hanno aiutato. Adesso sembra invece che sia tornata a 3 anni fa. Non riesco a capirmi mi odio e mi rendo conto che colleziono insuccessi e non riesco a vivere e stare bene come gli altri miei coetanei. Ho mille pensieri in testa. Il più frequente è il voler morire. Sono fidanzata e amo il mio ragazzo ma allo stesso tempo so con certezza che a breve non ci sarò più per lui e nemmeno più per me. Purtroppo sono anche troppo vigliacca per uccidermi perché appena prendo un coltello e sono pronta a sferrarmi una coltellata c e qualcosa che mi frena e allora rinizia la mia sofferenza mentale come un vero ciclo ripetitivo.
Io non voglio trovare la forza di vivere e stare bene perché quella come ho potuto constatare non è presente in me..ho sprecato troppo tempo. Voglio trovare solo la forza per uccidermi perché voglio porre fine a sta vita sofferente.
Gio
15
Set
2016
Un cambiamento troppo opprimente
Salve a tutti, vorrei chiedervi un consiglio: da quando è iniziata la scuola io ho iniziato a cambiare totalmente atteggiamento con il mio ragazzo, me la prendo per cose inutili, faccio strani pensieri sul suicidio eccetera eccetera, piango senza motivo, insomma non sono più la stessa. Naturalmente in tutto questo c'è un piccolo motivo, quest'anno ho la maturità e la patente, e visto che ormai la mia vita è programmata dopo la maturità farò un esame d'ammissione per l'università. Io sinceramente ho paura di tutto quello che sta succedendo, ho paura di fallire, di non farcela, di deludere tutti, inoltre quest'estate ho litigato con due mie care amiche (che sono per giunta in classe con me) ed io essendo una ragazza abbastanza timida ho stretto una buona amicizia con loro, e con gli altri in modo più superficiale, sta di fatto che queste due non mi salutano nemmeno... e sinceramente io non ho fatto nulla per meritare tutto questo...
Il mio ragazzo naturalmente mi aiuta e mi da sostegno, ma io alle volte (ultimamente quasi sempre..) faccio la bambina e l'immatura, forse perchè inconsciamente non voglio crescere.. comunque non so cosa fare.. ho anche una situazione familiare schifosa e non voglio perdere anche il mio ragazzo... Vorrei solo capire cosa mi sta succedendo..
Mar
23
Ago
2016
S.O.S-vi racconto la mia vita
Questo post è chilometrico, ma chiunque avesse la pazienza di leggerlo avrebbe tutta la mia gratitudine. Non sono mai riuscita a farmi capire da nessuno, e lo so che allora è un po' stupido riversare la propria sofferenza in internet...ma il sito dice "sfoghiamoci" e allora io lo faccio in grande, no?
Sono nata da una madre e un padre che all’epoca avevano rispettivamente 39 e 54 anni. Lei con la terza media, proveniente da una famiglia povera del Veneto e con alle spalle gravi abusi fisici e psicologici da parte di mio nonno materno su tutto il suo nucleo famigliare. Mio padre lombardo DOC, proveniente da un paesino bergamasco dell’anteguerra e orfano a pochi anni di mio nonno paterno; passato per la seconda guerra mondiale nei primi anni della sua infanzia dato che è nato nel 1938. Queste condizioni sfavorevoli di vita li hanno portati a essere persone problematiche: ansiosi, angoscianti, freddi, sfiduciati e degli incompetenti emotivi totali. Mio padre non ha mai fatto carezze, dato baci o scherzato su qualcosa, non ha mai fatto un regalo se non precedentemente concordato; mia madre faceva qualche carezza, ma era sempre cupa e vittimistica, e passava il tempo a lavorare o andare a messa e confessarsi, dato che era cattolica estremista.
Nonostante ciò hanno fatto subito un figlio quando si sono conosciuti (mia madre aveva 19 anni…), poi per vent’anni basta, niente più figli, finchè alla soglia della menopausa precoce di mia madre, in quello che mi hanno detto essere stato l’ULTIMO dei loro tristi rapporti sessuali, sono stata concepita per errore.
La prima accoglienza che ho ricevuto in questo mondo, la prima emozione che ho sentito, anziché la classica gioia di due persone che stanno per diventare genitori, sono state la paura terribile di mia madre e la proposta di mio padre di abortire. E il fatto che lei abbia voluto tenermi solo per fare un dispetto a mio padre e perché aveva paura di andare all’inferno se si fosse presa delle libertà col suo embrione… non è di grande consolazione.
Poi se ne sono fatti una ragione e si sono buttati nell’impresa di crescere un altro bambino cadutogli fra capo e collo, ma intanto il danno era già fatto. Da che sono venuta al mondo, già dalla prima settimana in ospedale, mi sono rifiutata di mangiare. Ero deboluccia e non avevo la minima voglia di crescere come gli altri bambini, non passava più di un mese senza che mi venisse qualche malattia. Al nido e all’asilo piangevo e vomitavo tutte le mattine. Vivevo in simbiosi con mia madre, che mi “amava” ma al tempo stesso mi avvelenava col suo attaccamento perverso, con la sua ansia, con le sue paure irrisolte. Ora so che soffriva di depressione clinica e con tutta probabilità anche di psicosi, ma nemmeno questo è granchè consolante. All’epoca non lo sapevo e per me lei era una figura d’attaccamento mostruosa, una fonte di affetto tossica, da cui però dipendevo. Tutte le sere prima di dormire mi raccontava le atrocità che faceva mio nonno alla famiglia, mi faceva guardare i film horror, riteneva normale che io alla richiesta di disegnare “la mia famiglia” producessi una schiera di crocifissi.
Mio padre, invece, era ed è sempre stato assente. A volte provava a giocare con me, ma forse non ne aveva granchè voglia o si sentiva stanco e impacciato, perciò non ci si impegnava molto. Lavorava tutto il giorno, e anche mia madre ha ripreso a lavorare tutto il giorno quando io avevo pochi mesi. Sui suoi diari c’è scritto che ero una bambina buona, socievole, che non cercava granchè le coccole ma intanto saltava in braccio agli sconosciuti. Io aggiungo che già allora dimostravo di essere sveglia e intelligente, che ero curiosa di tutto e mi piaceva scoprire il mondo. Non ero granchè bella ed ero sotto gli standard di crescita normali, infatti credo che lo sviluppo dell’intelligenza sia più che altro una reazione al fatto di non essere ammirati per altre qualità come l’altezza o l’aspetto fisico. Non so se sia così per tutti, ma per me lo è stato di sicuro.
Cercavo in ogni possibile modo di essere amata, di ricevere quell’amore pulito e incondizionato che i bambini dovrebbero avere, e che io non ho mai conosciuto. L’amore che ricevevo era sempre legato a qualcosa che facevo o non facevo, mi veniva detto di darmi una calmata, di smetterla di piangere e star male, di star seduta e buona, di “mettermi nei panni di mia madre” ecc. Mio fratello, ormai grande, è uscito di casa quando io avevo 4 anni, enfatizzando la depressione e l’isteria di mia madre e inasprendo il clima famigliare.
La casa che ricordo è un appartamento che nessuno puliva, pieno di giochi e libri e quindi di stimoli cognitivi (non posso dire che i miei genitori me li abbiano mai fatti mancare), ma pieno anche di inquietudini e odio e vuoto di stimoli emotivi. Mentre io ero una bambina estremamente sensibile, che avrebbe preferito di gran lunga usare il canale emotivo e corporeo più che quello logico.
Appena ho imparato a parlare sono stata tirata in ballo nei litigi di coppia; appena ho avuto la schiena abbastanza dritta per reggermi su un seggiolino della bici sono stata sbolognata tutto il giorno all’asilo nido e poi all’asilo, e quindi fino a sera da mia nonna. Mi sentivo abbandonata e tradita, ma all’epoca queste emozioni non avevano questi nomi. Venivano fuori sotto forma di sintomi psicosomatici e di un senso di dolore e oppressione terribili, che mi facevano scoppiare a piangere disperatamente non appena qualcuno mi spaventava o mi criticava. Perché, pensavo, se non si accorgono nemmeno di me, se non conto abbastanza da valere un po’ del loro tempo, allora sicuramente sono io che ho qualcosa che non va.
Già allora avevo problemi coi coetanei. Da una parte ero un esserino giocoso ed espansivo, coinvolgevo tutti in giochi di ogni tipo e, devo dire, molto fantasiosi; dall’altra ero estremamente insicura e mi appiccicavo tutto il giorno alla porta a vetri per vedere se arrivava la mamma. Questo era dovuto al mio non sentirmi abbastanza amata, ma soprattutto al bisogno patologico che mia madre aveva instaurato nei miei confronti: mancandole il primo figlio e odiando il marito, io ero diventata il suo unico appoggio affettivo. E così si aggrappava a me, in un’età in cui se tiri troppo forte si spezzano le braccine e le mani. Non sono mai riuscita a reggere tutta la sua ombra, ma al contempo avevo un disperato bisogno di guarirla, volevo che stesse bene e che sorridesse, e che mi volesse bene… e nell’ideale di onnipotenza che hanno tutti i bambini, probabilmente mi ero messa in testa che era colpa mia se lei non stava bene, che se mi fossi comportata meglio o adeguata a ciò che mi chiedeva, allora avrei potuto operare il miracolo. Ovviamente non è stato così. Ma quella bambina di pochi anni crede ancora di poterlo fare, di essere la causa delle malattie mentali di una madre che a sua volta è stata maltrattata e abusata dalla famiglia.
Inevitabilmente, insieme alla voglia di prendermi cura di lei, in un’età inappropriata in cui avrei avuto io per prima bisogno di cure, è germogliato un senso potente di risentimento e di rabbia nei confronti di questa famiglia incompetente che mi lasciava maltrattare dalle suore (forse il termine corretto è abusare, dato che suor Giuliana mi portava in una stanza vuota, mi tirava giù i pantaloni e mi sculacciava per vari minuti sulla pelle nuda; oppure mi metteva al centro della classe e ordinava agli altri bambini di umiliarmi finchè non avessi smesso di piangere), che mi lasciava soffrire senza offrirmi un appoggio sicuro e fingeva di non vedere il mio dolore -o forse non lo vedeva davvero-, che mi diceva che il mio malessere era una sciocchezza, che mi faceva dubitare di me stessa e di ciò che avvertivo dentro di me (ancora adesso ho un grande bisogno che le persone mi credano quando gli dico le cose, tanto che mi sento in dovere di spergiurargliele anche quando sono vere e quindi sembra che io stia raccontando cavolate…), che non offriva nessun tipo di contenitore e di esempio per la mia personalità in formazione.
Credo sia per questo che dentro di me c’è sempre stato un lato libero, indipendente e selvaggio; e insieme un altro molto instabile e impaurito, tipico di chi non ha avuto delle fondamenta stabili all’inizio della sua vita. La terza cosa che è nata in me in quel periodo, oltre al desiderio di guarire la mia famiglia e all’odio, è il senso di colpa per non essere riuscita nel mio intento. E’ da lì che nasce la mia idea di essere sbagliata. Non sono riuscita a compiacere la mia famiglia abbastanza da farmi desiderare e amare… abbastanza da farmi quantomeno accettare per quello che sono… e quindi ne ho concluso che se nella mia vita qualcosa va male l'imputato sono sempre io.
Dopo l’asilo è arrivata la scuola. A scuola stavo bene. Facevo amicizia abbastanza facilmente, ero più sicura che all’asilo, mi piaceva studiare e mi stavano simpatiche le maestre. Le elementari sono state effettivamente il periodo più tranquillo della mia infanzia. Avevo dei momenti in cui ancora piangevo a dirotto o manifestavo un’insolita timidezza, però nei miei ricordi sono molti di più i momenti belli di quelli negativi. Il mio disagio si era momentaneamente addormentato e veniva fuori solo nei disegni e nelle tematiche macabre dei miei giochi. Il resto erano compiti, attività in classe, intervalli in giardino. Ero molto creativa, molto brava in tutte le materie (tranne educazione fisica, cosa comprensibile dato che la mia famiglia non ha mai considerato il corpo o l’ha mortificato, e mi diceva sempre di star seduta e non essere “irruenta”, anche se magari stavo facendo una semplice corsa per casa o al parco come fanno tutti i bambini…). Non sono sicura che siano nati qui i primi problemi di invidia dei miei compagni verso di me, ma probabilmente dalla quinta elementare ho iniziato a rendermi conto che io ero più avanti degli altri e che se “esageravo” nel mostrare la mia intelligenza loro ci rimanevano male e mi escludevano.
Questa cosa è invece esplosa alle medie, soprattutto gli ultimi due anni. Le medie sono state in assoluto il periodo peggiore della mia vita. Nei primi mesi no, non ancora, perchè ci dovevamo tutti ambientare e a me piaceva l’idea di studiare materie un po’ più “difficili”, anche se in classe quasi sempre mi annoiavo dato che la mia testa correva avanti e (senza falsa modestia) molte cose le sapevo già. All’inizio infatti alzavo la mano continuamente per rispondere alle domande, facevo temi lunghi e dettagliati, sproloquiavo di materie scientifiche e, a parte la solita ora di educazione fisica dove i miei coetanei si prendevano tutte le loro rivincite, ero la migliore della scuola.
E’ stato allora che i miei compagni hanno iniziato a odiarmi. Prima gli davo solo fastidio, col passare del tempo l’intera classe (tranne le mie uniche due amiche) ha deciso che era ora di mettermi un freno. Così tutti hanno iniziato col parlarmi alle spalle, poi in faccia apertamente; a prendermi in giro per qualunque cosa mi mettessi addosso o mi piacesse (poteva essere un libro, un astuccio, una felpa, una musica… qualunque cosa). Non mi invitavano più alle feste, e se io gli portavo comunque un regalo di compleanno loro lo buttavano nel cestino davanti a me; mi scrivevano offese sul banco, mi nascondevano le cose o le buttavano via, una volta sono tornata dall’ora di educazione fisica e ho visto che qualcuno mi aveva vomitato nello zaino. I maschi più violenti mi minacciavano anche fisicamente, chiedendomi se volessi botte, facendo cricca all’ingresso della scuola e spaventandomi quando uscivo. Fra loro e fra mia madre che mi ripeteva continuamente di quanta gente ci fosse nascosta dietro i cespugli pronta a saltarmi addosso, il semplice tragitto casa-scuola per me si trasformava in un bagno di paura.
Il risultato è che io mi sono isolata sempre di più e, come difesa, ho idealizzato la mia intelligenza. Mi ritenevo un essere superiore, troppo particolare per scendere a patti con gente del genere e col loro mondo fatto di parolacce, fotografie di attori, sputi, bigiate e minacce. La mia prima adolescenza è costellata di ricordi solitari, di me che mi chiudevo in classe a leggere anche quando c’era l’intervallo, di me da sola nella mia stanza che facevo i compiti e mi intrattenevo con le mie fantasie, di me che scrivevo e vincevo premi letterari e partecipavo a show televisivi, ma intanto non avevo praticamente nessuno con cui parlare senza essere giudicata, senza la preoccupazione di dover essere “simpatica, easy, una ragazzina come gli altri”.
Quello è anche il periodo in cui ho ricevuto un sacco di critiche sul fatto che ero troppo seria, che dovevo muovermi a farmi degli amici e uscire per fare “cose da ragazzi” con loro, che dovevo vestirmi da adolescente e ascoltare musica da adolescenti e -per piacere!- non eccellere in ogni cosa, altrimenti tutti mi avrebbero odiato a morte!
E io invece, col carattere guerriero che ho, anche se dentro ero spezzata in due e mi sentivo triste come non so cosa, ho perseverato nel prendere tutti voti massimi, nell’ascoltare la musica che volevo e nel vestirmi come cavolo mi pareva. Era quel meraviglioso periodo in cui non accettavo di scendere a patti con le critiche. Non mi scivolavano addosso: le prendevo tutte in pancia come delle frecce e mi ferivano tantissimo, ma quantomeno non gli sottostavo. In quel periodo ho iniziato ad andare dalla psicologa, perché non sapevo dove sbattere la testa e mi sentivo un alieno totale rispetto al mondo che mi circondava.
A scuola era uno schifo, tornavo a casa e trovavo una situazione sempre più degenerata, con due persone ormai quasi estranee che si urlavano contro e mi coinvogevano nei loro meccanismi malati; con mio fratello distante e con un figlio da crescere, un fratello a cui non veniva detto mai niente su quello che stava succedendo in casa; senza un vero amico se non quelli che stavano dentro la mia testa e senza nessuno che mi desse un esempio o un modello da seguire.
La psicologa è stata una benedizione per me, e probabilmente grazie a lei ho imparato ad avere fiducia nella psicologia. Mi ha aiutato a finire le medie senza rimanerci secca, anche quando i miei compagni sono passati dalle parole ai fatti e, l’ultimo giorno di scuola, mi hanno lanciato un banco addosso. Anche quando per urlare il mio odio ai miei genitori e al mondo ho bevuto un flacone di detersivo e sono finita in ospedale. Quando finalmente è passato quel periodo, ho fatto un anno di liceo classico, buttandomi nello studio in un modo talmente maniacale che sono crollata appena finito un semestre. La situazione a casa era sempre peggio. Litigavamo tutti con tutti, tutti i giorni. Mia madre faceva gesti teatrali come inseguirmi con un martello o lanciare oggetti per terra, mio padre faceva la “roccia” e la ignorava, facendole venir voglia di strillargli dietro ancora di più per smuoverlo e fargli dire qualcosa (un comportamento che purtroppo capisco, dato che lo sto attuando pari pari a mia volta…).
Io mi chiudevo nella mia camera e scrivevo. Nell’estate tra le medie e il liceo ho scritto il mio primo romanzo, senza dire niente a nessuno. I miei genitori non hanno saputo niente, se non quando un editore l'ha pubblicato a proprie spese tre anni dopo… quando l’ho finito ho brindato da sola con me stessa, in cucina, nel buio della notte. E' stato il momento più felice della mia vita.
Mi ricordo tantissimo, ma proprio sulla pelle, quanto soffrivo in quel periodo a causa della mia età. Nessuno mi dava retta perché dicevano che ero troppo giovane, ero minorenne e quindi per lo Stato non esistevo e non potevo firmare da nessuna parte, quando scrivevo su internet mi scambiavano per un troll che si “spacciava per una ragazzina”. Mi sono sentita dire che le mie poesie erano troppo complicate e troppo tristi per una della mia età, che le femmine non devono scrivere cose così paurose o violente, che sembravo depressa o autistica, che mi dovevo vivere la mia vita e imparare a godermela. Tutto questo ovviamente detto da gente che non aveva la minima idea di quanto fosse vasta la gamma delle emozioni che provavo, di quanto fossi sensibile e di come godessi di cose che loro nemmeno capivano, come l’estasi della bellezza di una musica, trovare un buon libro in biblioteca, stare nella natura che mi è sempre piaciuta da morire, stare coi miei due amici a PARLARE di noi stessi e condividere le nostre giornate e il nostro affetto, anziché a ubriacarci e drogarci.
Mi piaceva viaggiare, mi piaceva vedere i quadri e i musei, adoravo leggere e giocavo ai videogiochi (di tutti i tipi, dai medievali e fantasy al simulatore d’aerei) come se non ci fosse stato un domani. A guardarmi da fuori adesso, a distanza di tempo, avrei detto a me stessa che ero una ragazza assolutamente normale, che magari si vestiva con tute larghe o maglie etniche anziché stivaletti e calzamaglie, che traeva nutrimento e vita da cose più “mature”, che era un po’ taciturna ma quando si trovava nell’ambiente che le piaceva allora si trasformava nella più solare delle persone.
Ma allora ero davvero convinta di essere diversa, e dannata. Non sapevo cosa fare per piacere di più agli altri, non sopportavo più di vivere in casa coi miei genitori, non sopportavo la mia vita. Ho iniziato un altro periodo di protesta verso la mia famiglia, con un comportamento anoressico che in realtà era un vero e proprio sciopero della fame, in cui mi sono ridotta a poco più di 30 kg e sono finita di nuovo in ospedale con la chiara intenzione di morirci.
Ma non è successo. In ospedale è scattato qualcosa e ho ripreso a mangiare. Sono andata a casa e ho espresso chiaramente ai miei che me ne volevo andare. Ho preso possesso dei soldi che mi aveva lasciato mia nonna e a 16 anni ho comprato una piccola casa, la MIA casa. Ho trovato lavoro in panificio, cosa che mi costringeva ad alzarmi all’alba e spararmi tre ore complessive di treno e pullman al giorno, ma ero felice. Vivevo come volevo io, mangiavo quello che mi piaceva (ero vegetariana da un paio d’anni e mia madre era sempre stata contraria a questa scelta), potevo usare i soldi che guadagnavo per tutto quello che mi serviva. I primi tempi ho avuto paura di non farcela, mi sono scontrata con le bollette da pagare e il fatto che io non potessi avere un conto in banca poiché minorenne; con la solitudine di una casa vuota, col fatto che ovviamente la gente non si risparmiava i commenti sul fatto che solo una disadattata o una sfigata va a vivere da sola a quell’età…
Dopo un anno e mezzo di quella vita, ho deciso che lavorare andava bene, ma forse era meglio anche finire le superiori e prendermi un diploma. Così ho messo in pausa il lavoro serio e ho fatto solo lavoretti saltuari, mentre recuperavo gli anni come privatista. E’ stato davvero, davvero difficile. Ero stanca morta, avevo pochi soldi, ma ce l’ho fatta comunque. Sono uscita con 97 su 100.
Il diploma mi aveva caricato molto. Ormai mi ero stabilizzata in casa mia, stando separata dai miei genitori riuscivo a parlarci di più, avevo deciso che avrei provato il test di medicina e che intanto per quell’estate avrei fatto una festa e viaggiato. La festa del diploma è stato l’ultimo momento di pace che ricordo. Eravamo tutti nel giardino a casa di mia madre, con fiori e candele, un sacco di cibo e persino un illusionista che avevo invitato per intrattenere gli ospiti. Ho delle foto di tutti noi con corone di foglie in testa e dei bellissimi sorrisi, sorrisi che non ho mai visto nella mia famiglia.
E poi la mazzata, perché quell’anno del cazzo era il 2011. L’anno in cui ho fallito il test di medicina per un punto e mezzo. L’anno in cui non sapendo cosa fare come università, anche perché quasi tutte erano col test di ingresso e ormai le date erano passate, ho deciso di trasferirmi vicino a Bologna per fare erboristeria e ho affittato la mia preziosa casa a un ragazzo che si è rivelato essere un delinquente. L’anno in cui la mia famiglia mi ha taciuto il tumore mortale di mia madre, per abbastanza tempo da farmi portare tutte le mie cose a centinaia di chilometri da Milano per poi farmi cadere dal pero in una serata di settembre, quando l’ho trovata in bagno che vomitava feci e siamo corsi immediatamente in ospedale, e allora sono stati costretti a dirmi cosa stava succedendo.
Immaginatevi me, in una casa in affitto in Emilia-Romagna, che inizio un’università nuova senza il minimo appoggio morale di nessuno, e intanto provo a cercare lavoro a Bologna, e nel mentre vengo a sapere che mia madre sta morendo e che il mio inquilino, che non mi paga e mi sta sfasciando la casa, va sfrattato con una procedura legale lunga e costosa.
Le uniche cose che mi hanno salvato in quel periodo sono state la scrittura e la spiritualità. Frequentavo un gruppo neopagano, una cosa che mi ha arricchito molto e che mi ha aiutato a pensare alla morte come una porta che da un’esistenza conduce a un’altra. Che mi ha aiutato a vedere un po’ di magia e di sacro in ogni angolo del mondo e in ogni stadio della vita umana, anche quelli più difficili.
Mia madre è morta quasi subito, il giorno di Natale del 2011. Sono stata io la prima a trovarla morta. Già da un bel po’ le somministravano morfina e quindi non si rendeva conto delle cose, ma ricordo che quella mattina aveva gli occhi perfettamente assennati, anche se immobili, e un’unica lacrima che le scendeva da una palpebra. Sono sicura che si sia resa conto di cosa stava capitando. Proprio il giorno dopo è morto anche il mio coniglietto, dopo dieci anni di onorata vita. Ho sempre detto che me li immagino insieme nell’aldilà, con lei che cerca il trifoglio per il suo piccolo amico. Finalmente libera. Finalmente sana. Finalmente se stessa.
Io ho retto il colpo abbastanza bene, anche se pure a distanza di anni continuo a piangere. Credo invece che mio fratello non si sia più ripreso. Nella mia famiglia le donne non sono mai state molto considerate e il loro “posto” è sempre stato la pelatura delle patate in cucina, ma sotto sotto tutti i maschilisti venerano la propria madre e, in sua mancanza, affibbiano le sue competenze (anche affettive) alla diretta erede. Cioè io. L’ultima donna rimasta fra i parenti stretti.
Questo è un ruolo che io ho rifiutato subito. Secondo i fratelli di mia madre, io avrei dovuto prendermi cura di loro come faceva lei, anche se ormai sono belli che adulti; secondo mio fratello, io avrei dovuto fare la badante di mio padre e prendermi cura di lui ora che lei non c’era più, nonostante loro due si fossero detestati apertamente e negli ultimi mesi prima che lei si ammalasse avessero (finalmente!) scelto di vivere separati anche se la religione cattolica vieta il divorzio.
Io ho detto a tutti che nessuna di queste “mansioni” mi passava nemmeno per la testa.
Sono tornata a Milano, sentendomi dire da mio fratello che ero una pazza che non finiva mai quello che portava a termine (eh sì, contorto il ragazzo… da una parte voleva che io mi prendessi cura di mio padre, ma dall’altra non gli stava bene che io tornassi a Milano. Bah). Ho trovato un lavoro che pagava bene e ho preso una casa in affitto in città, nel mentre che sfrattavo l’inquilino imbecille.
E intanto ho provato, per la seconda volta, il test di medicina. Però stavolta ho voluto andare sul sicuro e ho fatto anche quelli di professioni sanitarie e di psicologia, sperando che almeno in uno sarei entrata…medicina no. Inarrivabile. Ma sono entrata negli altri due, fisioterapia e psicologia. E ho scelto psicologia. Così sono passati i miei primi due anni di università, un anno con un po’ di lavoro, poi un periodo senza lavoro, poi un periodo massacrante di lavoro in un ristorante in cui ho perso un sacco di esami. La vita non andava bene, anche se avevo pubblicato il mio secondo romanzo, facevo teatro ed ero riuscita a riprendere possesso della mia casa. Non ero riuscita a farmi un solo amico all’università, odiavo Milano e abitavo comunque a più di un’ora di treno+pullman dalla città. Mi sentivo isolata e molto, molto sola.
E’ stato in quel periodo che ho conosciuto su internet un’amica torinese. Siamo entrate subito in sintonia, eravamo molto curiose di conoscerci e scambiare esperienze. Lei era una persona un po’ triste e anche lei con una famiglia del cavolo, ma abbiamo allacciato subito una di quelle amicizie intime, brucianti, praticamente da sorelle. Dunque mi sono trasferita a Torino a finire la triennale, sia perché avevo sentito parlare bene dell’università di psicologia e avevo l’intenzione di farci la magistrale, sia per stare vicino a lei. Ho fatto abbastanza fatica coi documenti per l’università, ho fatto una grande fatica a dirlo a mio padre e a mio fratello.
Entrambi erano assolutamente scettici sul fatto che io finissi l’università, mio fratello mi ha proprio detto in faccia che tanto sarei tornata a Milano dopo qualche mese con la coda fra le gambe, proprio com’era successo con Bologna. Ma non l’ho fatto. Ho affittato prima una mansarda in centro e poi una casa più grande, dove sto scrivendo in questo momento. Ho incontrato finalmente delle amiche serie che facevano psicologia come me, e con loro posso dire di aver vissuto veramente i momenti di apprensione, follia e giovinezza della vita universitaria. Penso che loro, in particolare una, siano state le uniche persone al mondo ad accettarmi veramente, con tutti i miei casini e il mio passato problematico, senza volermi aggiustare, cambiare o distruggere.
L’anno scorso mi sono messa a dare esami a raffica per recuperare il tempo perso e riuscire a laurearmi. Ho ottenuto il mio risultato, mi sono laureata in corso e con un voto più che dignitoso. Ma intanto mi sono lasciata indietro un sacco di momenti di vita, di rapporti umani non vissuti, di giorni sereni che ho riempito solo con ansia e stress.
Mio padre e mio fratello hanno reagito alla mia laurea con un “ah ok, brava…”. Niente regalo, niente festa. Ovviamente. Non so bene per cosa mi voglia punire mio fratello, so solo che da quando sono a Torino non è mai venuto a trovarmi e non mi parla più nemmeno al telefono. E i suoi figli non vogliono vedermi. Quelle rare volte che ci vediamo dicono che io sono la zia “pazza e strana”.
E mio padre…ho cercato con tutta me stessa di aggiustare le cose, parlarci, provarci, risvegliare UN MINIMO di calore in lui. Ma non serve a niente. Lo odio. Lo odio in un modo antico, potente, vulcanico che è molto difficile da controllare. Non riesco a starci insieme per più di un giorno senza avere il desiderio di spaccargli la faccia, di ucciderlo pur di rompere quel cazzo di guscio che si è costruito attorno e non lascia uscire né entrare niente, né il calore di un qualsiasi rapporto umano, né le parole, né le emozioni o la vita.
Sto andando nuovamente da uno psicologo da un anno, ma non sento molti miglioramenti e fra noi c’è tantissima distanza. Lo vedo come un rapporto professionale, ma empatico solo a tratti. E sono cambiata, tanto cambiata. L’amicizia con la mia amica torinese si è arrestata quando ho capito che mi faceva più male che bene, perché non era quello che era stato all’inizio: era una relazione a senso unico in cui lei stava sempre male e voleva che io mi prendessi cura di lei (un po’ come mia madre insomma).
Per il resto sono una creatura morta. Ho buttato via i mei vestiti etnici perché ero stufa di come mi guardava la gente quando li mettevo e perché mi ricordavano tutte le prese in giro delle medie, respiro aria orribile, dopo ben 10 anni di felice vegetarianesimo ho ripreso a mangiare la carne solo per fermare quel fiume di gente che ogni volta che mi sedevo a tavola mi faceva il processo sulle carote che soffrono, mi tempestava di domande che non erano curiosità ma frecciate, e augurava il cancro a me e ai miei poveri figli (quali figli poi non si sa, dato che non ne ho e non ne voglio…); che mi dava dell’idiota, della malata di testa, della persona mentalmente chiusa o della puritana.
Ho iniziato a bere e ubriacarmi per lo stesso motivo. Se prima bevevo una birra artigianale o un liquorino ogni tanto perché gradivo il gusto che avevano, l’anno scorso ho iniziato a mandar giù qualunque roba alcolica e ubriacarmi fradicia, girovagando per serate e locali che odiavo, solo perché così sono “come tutti gli altri ragazzi giovani”.
Ho dimenticato completamente la spiritualità, non scrivo più da un anno, non promuovo i miei libri e le mie capacità teatrali non sono state più coltivate. Sto diventando un’ombra, triste, aggressiva, piatta come il resto delle teste di minchia che popolano questa nazione. Non riesco a capacitarmi che qualcuno mi voglia bene e infatti do ingiustamente addosso anche alle poche persone che me lo dimostrano, facendo gaffe bestiali e buttando su di loro i miei sbalzi di umore.
Ho 24 anni e mi sento vecchia e stanca, non ne posso più di dover curare la casa, di dover cercare lavoro mentre studio, di dover fare l’adulta e poi passare subito in modalità ragazzina scialla se no ai miei coetanei non piaccio. Mi sento male perché sono l’unica della mia età a non pensare sempre a scopare, non ho un ragazzo o una ragazza, ho una sessualità tutta particolare e non ho ancora trovato nessun partner che la capisca o che veramente sia in grado di volermi bene e instaurare con me una relazione paritaria. Ho bisogno d'affetto come tutti gli altri, anche se sono indipendente e matura, ma i miei coetanei (diciamo pure anche quelli fino a 35) sono dei ragazzini mentalmente limitati, e se sono più in là con l'età mi vedono solo come una dolce "bambina" da fottersi- scusate il francese-.
E io, in sostanza, non so più chi cazzo sono.
Ho scritto questo bel papiro perché voglio urlare che le cose stanno così. CHE IO STO MALE, e non è una “boiata”, un “lamentarsi a vuoto”, è un dolore atroce che probabilmente neanche conoscete e io non permetto più a nessuno di sminuirlo dicendo che “boh, forse un giorno passerà, sei così giooovaneeee”. E’ tutta la vita che sto male e io non ne posso più. Non so cosa fare, veramente certe volte non vedo via d'uscita e vorrei soltanto addormentarmi dolcemente.
Se sei arrivata/o fino a qui, hai veramente una grande pazienza e probabilmente la curiosità o la voglia di ascoltare e capire. Magari dimmi cosa ne pensi di tutto ciò, che cosa faresti tu… anche solo una riga o due. Mi aiuterebbe davvero, davvero tantissimo in questo momento buio.
Grazie mille...
Mar
16
Ago
2016
Una vita di sofferenze
Da piccina ero molto solare, socievole, ma fin d'allora soffrivo molto: mia madre ha delle fobie del pulito, che mi hanno reso la vita impossibile; adesso da 3 anni ha il cancro e le sue fobie contribuiscono a rendere tutto più difficile. Poi i continui litigi con mio padre.. adesso ho 18 anni e vivo nell'appartamento sotto a quello di mamma insieme a mio padre, lei si sente abbandonata e questa cosa mi logora, ma era impossibile per me continuare a vivere con lei, senza entrare troppo nei dettagli, comunque la situazione a casa è particolarmente critica. Amici non ne ho, sono molto selettiva, vedo la cattiveria, la stupidità ovunque; con i miei coetanei non mi ci trovo bene; non ho un'amica fidata con cui parlare. Abitando in campagna non ho molte occasioni di conoscere nuove persone, ma anche quando le conosco e mostrano interesse nei miei confronti, io non mi trovo bene con nessuno, ma non riesco a stare neanche da sola, mi fa soffrire questa solitudine, però la preferisco a tutti gli altri. Ci sono due miei vicini di casa miei coetanei con cui parlo, qualche sera vengono da me, tre compagni di classe che mi considerano un'amica, ma con loro non riesco ad affrontare discorsi seri. Due anni fa ho cambiato scuola e ho conosciuto una ragazza particolare e ho iniziato a frequentarla, aveva pensieri strani che non condividevo, ma almeno ce li aveva, nelle scuole incontri solo ragazzi tutti uguali, stessi vestiti, stessa intonazione, gente che si fa forza nel branco; io non voglio fare parte del branco, non voglio piegare la mia individualità, la mia unicità, però vorrei uno scambio con qualcuno serio e fidato. Tornando a questa persona che io consideravo un'amica, con cui mi sono molto aperta (era da quando avevo 12 anni che non lo facevo con nessuno) mi ha fatto conoscere il mio attuale (non so ancora per quanto tempo) ragazzo, dicendomi "ti presento un mio amico sicuramente vi piacerete". Poi alla fine ho scoperto che lei mi si sarebbe voluta scopare, mi parlava male del mio ragazzo nonostante fossero amici da 4 anni, ha detto tante menzogne, il suo comportamento è stato palesemente incoerente e lei continuava a negare di aver detto un sacco di bugie. Ho chiuso definitivamente i rapporti. Lei è partita l'anno scorso per lo scambio interculturale; il mio ragazzo ha continuato a chattarci e gli ho sempre espresso le mie perplessità, non riuscivo a capire come lui potesse avere ancora interesse nei confronti di una persona tale, poi hanno litigato per chat e hanno smesso di sentirsi. Lui le scrive -il giorno prima del mio compleanno- "ma che fai torni e non mi dici niente?" e lei "ma che mi prendi per il culo?". Ieri lei gli scrive di andarsi a prendere un caffè e dopo cena sono usciti insieme. Quando lui la mattina mi scrisse che sarebbe uscito con lei non gli ho risposto per evitare, perché dopo un anno e mezzo che stiamo insieme ho capito che discutere con lui non serve a niente: io esagero sempre, ha sempre ragione lui. E allora mi scrive "ti dispiace?" e io "Già ti ho espresso la mia totale disapprovazione, puoi uscire con chi vuoi, mi dispiace sltanto che stai perdendo la mia stima" "Perché devi essere così drastica" "Io non ti ho detto nulla, ho capito che in queste situazioni è meglio evitare" "cioè?" "Penso che non ne valga la pena parlarne mi dispiace" "va bene, come va il pranzo?" "io sarei morta se tu mi avessi detto una cosa del genere" "se ti avessi detto cosa?" e lì ho lasciato perdere, non gli importa nulla che per me non ne vale la pena, è così superficiale. Gli sto chiedendo da una settimana di portarmi al mare (20 minuti di macchina se stiamo da me o qualche fermata di trenino se stiamo da lui) e ancora non mi ci ha portato, ogni volta ha la scusa che deve studiare, però quando sta a casa non studia o studia poco. I suoi amici vanno in toscana in campeggio, me l'ha scritto e io gli ho risposto "divertitevi" e mi fa "Perché tu non vieni?" gli ho detto di no e se ne è fregato, non ha provato a convincermi. Lo sa che io sto qui a casa da sola come un cane, quest'estate non abbiamo fatto un cazzo, perché lui è un morto di fame. Dentro di me ci sono così tanti sentimenti, sto esplodendo. Tutti mi dicono che dovrei lasciarlo, che non mi merita, ma io rimarrei totalmente sola e lui nonostante tutto è la persona che conosco con cui mi prendo di più. Poco fa stavo rileggendo degli appunti che scrissi quest'inverno e dicevano che ero disperata, che mi faceva soffrire così tanto e che era come se in lui ci fossero due persone totalmente opposte. Io questi appunti non me li ricordavo, e mi hanno fatto rendere conto che alla fine lui è sempre stato così, semplicemente adesso lo conosco meglio; i problemi tra noi ci sono sempre stati. La soluzione più razionale sarebbe per ora prendere il buono di questa relazione, perché ci sono anche cose belle: alcuni momenti sono molto speciali, altrimenti l'avrei lasciato da un pezzo però non so se questi momenti ne valgano la pena, se riesco a sopportare la sua superficialità, io non ho fiducia in lui e per una persona di principi come me è dura, però senza starci male, sapere che lui è così e accettarlo, lui me l'ha detto più di una volta "io sono così e non cambio", a me non piacciono le persone che dicono che non cambiano, perché poi alla fine con il tempo cambiano, magari in peggio, ma cambiano, però una persona che afferma di non voler cambiare la trovo stupida e presuntuosa. Mi dispiace che parte del mio amore si sia trasformato in rancore, tristezza e delusione. E il bello è che io sto piangendo, mi sto disperando sul da farsi e lui invece è tranquillo e ignaro della mia sofferenza o forse ancora peggio se lo immagina ma se ne frega. Oggi mi aveva promesso che mi avrebbe portata al mare, dopo che me l'aveva promesso altre 4 o 5 volte e poi all'ultimo mi aveva ssempre detto di no. "martedì ti ci porto, promesso" e così è un po' in tutto, non ci puoi contare. E nonostante tutte queste cose brutte che ho tirato fuori è meglio lui delle altre persone che "conosco" che poi non le conosco fino a fondo per fortuna. Io penso spesso al suicidio, però non vorrei far trovare il corpo ai miei e soprattutto non vorrei soffrire molto. Sento di aver scritto troppo ma non abbastanza, rileggere questo schifo mi farebbe solo che più male e non mi rimane che piangere.
Lun
04
Lug
2016
Stupidate?
È normale che da un po' a questa parte (a dire il vero penso siano un paio di mesi) mi capiti spessissimo di pensare al suicidio [solo pensare, senza che io dia molto peso ai miei stessi pensieri, considerandoli un po' puttanate da adolescente (ho 18 anni)], anche per cose stupide e i piccoli fastidi? È che sono profondamente stanco. Insomma dovrei preoccuparmi di questi pensieri ricorrentissimi (mi capita quasi ogni giorno varie volte)? O a tutti capitano momenti così e sono davvero puttanate da adolescente? Inoltre mi è capitato di tagliarmi un paio di volte, forse quattro o cinque, ma tagli per la maggior parte insignificanti, ho pure disinfettato la lama e la "ferita" dopo... Ma non mi sento dipendente da questo, nonostante assieme ai pensieri suicidi spesso mi immagini passarmi la lama all'interno dell'avambraccio. Ma a me sembrano davvero cose stupide e mi sembra semplicemente di starmi fissando con 'sta storia. Non so, cerco un confronto
Gio
30
Giu
2016
Tristezza e rabbia
Sono triste, anzi sono depresso.Ho 24 anni e da tutta la vita convivo con problemi dermatologici che mi distruggono l'autostima. Essere spensierato ora mi é impossibile, mi guardo allo specchio e vedo un viso che nessuno vorrebbe, sarei un bel ragazzo ma soffro di acne, dermatite atopica e seborroica e forfora e devo sempre tenerle sott'occhio con mille prodotti. Spesso funziona, spesso no e allora devo solo subire o spendere altri soldi in altri prodotti o altre visite che quasi mai risolvono la situazione. A volte nemmeno la migliorano. Ho delle macchioline rosse sulle guance che a volte diventano eritemi, a volte prudono, a volte si estendono ad altre aree del corpo. Non sono felice di come sono e la cosa peggiore é che sarei davvero carino se non ce l'avessi, perdonate l'estrema consapevolezza.
Non ci si puó fare molto, dipende al 98% dalla genetica che ho, poi l'alimentazione e la condotta non ti guariscono da questi problemi, puoi solo controllare quello che fai per non peggiorare la situazione, quindi in pratica, a differenza di quel che pensano le persone certe cose ce l'hai e basta e te le tieni, non hanno una vera e propria cura, o comunque é molto difficile trovare rimedi veri.. É una gran brutta scocciatura che non auguro a nessuno, mi fa stare male, malissimo. Mi fa venire voglia di morire, ci penso spesso al suicidio. Non ho voglia di uscire, non credo in me stesso, mi sento una persona difettosa e incompleta, come un prodotto scadente, uno scarto genetico che non doveva essere portato avanti. Ho una relazione e il mio partner mi adora ma non mi importa perché comunque io sto male per come appaio e non mi sento rappresentato da questo corpo difettoso.
Molti di voi mi insulteranno perché funziona cosí su questo sito, molti diranno che sono problemucci da viziato o da persona che non conosce i problemi veri della vita, se solo sapeste la percentuale di casi in cui dermatite e acne sono legati a casi di depressione clinica non parlereste. Questi sono problemi reali che la gente sottovaluta perché non li ha mai vissuti.
Buona vita a tutti.
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