Tag: depressione

Ven

30

Set

2016

Troppo comodo

Sfogo di Avatar di Anonimo | Categoria: Ira

Troppo comodo trattarmi come uno psicologo ai tuoi servigi 24 ore su 24, vomitarmi addosso tutte le tue paturnie, lamentarti per ogni cosa e poi dirmi "Eh, scusa ma sono depressa". 

Poi in mezzo alle tue str....ate FORSE ti ricordi anche come sto io, che credimi la passo molto peggio di te che frequenti l'università pagata da mammina paparino, assieme all'alloggio a Milano dove ti dai alla bella vita. E io stronzo devo stare dietro a casa, lavoro, ragazza, amici e problemi vari di salute (non gravi per fortuna, ma per nulla da riderci).

Ma va' a ca...re.

Lun

19

Set

2016

Sei uno stronzo

Sfogo di Avatar di Anonimo | Categoria: Altro

sei uno stronzo e ti odio, ti sono stata appresso per 10 mesi e mi hai fatto cadere nella tua trappola, prima ti sei presentato come il principe azzurro che voleva una vita e dei figli con me, poi con il tempo ti sei rivelato per quello che sei.... Cioè un egoista demente e superficiale!!!! L' unica cosa che ti teneva legato a me, per tua stessa ammissione, era l' aspetto fisico ed il sesso.... Avrei potuto essere la peggior megera dell' universo e non te ne sarebbe fregato nulla, perché di me l' unica cosa che sai apprezzare è il c***!! Vergognati!! Io esistevo solo per il sesso, perché figuriamoci, per te le cose importanti sono altre!! Come fare tutti gli sport possibili e immaginabili e fare il coglione con gli amici.... Ed io a seguirti dovunque, a supportarti dovunque, mentre in casa ho un padre depresso ed una madre che non ci sta con la testa.. Te ne è mai fregato dei miei problemi???? MAI!! A te non interessa NULLA, ti importa solo di te, te e te!! Io esistevo in quanto tua estensione e basta....

poi sono cominciate le spinte, le mani addosso, gli insulti, sminuirmi pubblicamente, scenate, strattoni,denigrazioni pubbliche, dirmi che mi odi con tutto il tuo cuore e che ti ho rovinato la vita, che staresti meglio da solo ma che stai con me solo perché ami sc***** con me!! Ed io ho sopportato tutto questo.

ora che hai un problema serio e concreto, io non mi sono allontanata, ma ero pronta a darti supporto e a starti vicino, a subire i tuoi malumori, le tue ingiustizie, il tuo "egoismo" come tu hai affermato che pretendevi di essere....poi l' epilogo, mani al collo, strattoni, urla ed insulti SOLO perché all' ennesima volta in cui mi davi della stupida ho OSATO stare zitta!!!! Ovviamente me ne sono andata, mi hai ricercata e mi hai anche chiesto scusa.... Ed io ci sono cascata!!!! Ma perché perché sono così stupida!!!! Ora dici che mi ami ma SEI TU CHE non vuoi stare con me!!!! E ho permesso che me lo dicessi anche dopo avermi insultata per bene ed avermi dato della poco di buono ed avermi ferita in tutti i modi!!!! Bloccata perfino nel registro chiamate e su whatsapp!!!! Ma PERCHÉ PERCHÉ ti ho dato questa soddisfazione??!! Sei solo un bastardo infame, tu non sei un uomo, sei un escremento!!

ed io qui ancora a star male per te.... Ho già perso un anno all' università per colpa tua, ed ora chissà quanto altro tempo perderò. Non so se riuscirò a rialzarmi. Mi sento uno schifo, mi domando se finalmente troverò un uomo che mi ami per quella che sono, non per il mio c***. Perché non ho il diritto come quasi tutte le donne al mondo, di trovare qualcuno che abbia voglia di proteggermi e di non farmi del male?? 

Gio

15

Set

2016

18enne stufo della vita

Sfogo di Avatar di Anonimo | Categoria: Altro

Ciao a te che stai leggendo. Sono un ragazzo di 18 anni stanco di come sta andando la mia vita fino ad ora.

Partiamo dalle amicizie. Fin da piccolino sono sempre stato il "bravo bambino" che non faceva niente di male a nessuno, era sempre calmo, tranquillo. Ció mi fece isolare dagli altri bambini perchè diciamo che loro preferivano quelli piú "ganzi e vivaci" e quindi ho sempre avuto quei 2-3 amici in croce, ma non mi lamentavo... Fino ai tempi delle medie, in cui ho cominciato ad essere vittima di bullismo e quei 2-3 miei amici si sono rivelati degli stronzi, lasciandomi da parte. Ci sono rimasto veramente male... E ció mi fece chiudere ancora di piú, come se già non fossi di partenza timido e introverso. Tuttavia riuscì verso la seconda media a farmi un altro gruppetto di amici... Che peró anche loro una volta al liceo si sono rivelati dei coglioni per motivi che non sto a dire. Qui comincia la parte piú triste della mia vita. A 14 anni avevo di nuovo perso tutti gli amici che avevo, facendomi diventare sempre piú un "eremita sociale". Inoltre continuavo a venir preso in giro a causa della mia situazione e personalità e questo non mi aiutava affatto. Entrai in depressione (meditai persino il suicidio)... E ogni tanto ci cado ancora adesso. Dai 16 anni le cose migliorarono leggermente... Forzandomi cercai di farmi nuovi amici.. Nuove conoscenze... E ci riuscì, o almeno credevo. Persi infatti interesse nella compagnia con cui avevo cominciato ad uscire da qualche mese... Avevo capito che non facevano per me... E ció mi demoralizzó. Ma il peggio è stato circa 5 mesi fa. Infatti quello che consideravo il mio "migliore amico"  si riveló anch'egli uno stronzo. Non sto raccontarvi tutta la vicenda, ma in sintesi mi raccontó un sacco di menzogne. Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso. Ormai ho 18 anni, sono all'ultimo anno di liceo e sono diventato molto disilluso. Con tutte le delusioni che ho avuto a livello di amicizia mi chiedo se quest'ultima esista veramente... 

Inoltre non ho mai avuto una ragazza. Tutte le ragazze che mi attraevano o mi hanno respinto, o mi hanno fatto perdere interesse in loro, o erano a loro volta fidanzate.

Per non parlare dell'atmosfera che respiro stando a casa mia in famiglia. Prima di tutto devo dire che nel periodo di depressione maggiore i miei genitori non sono stati per niente d'aiuto. Si limitavano a sgridarmi dicendomi di svegliarmi... che non dovevo essere triste.. che non dovevo rinchiudermi in casa...

Adesso invece loro non fanno altro che litigare ogni giorno... A pranzo e cena molte volte non parlano tra loro... Rendendo il mio ritorno a casa (e stare a casa) non molto eccitante. L'unica persona della mia famiglia con cui ho un bel rapporto è mia sorella.. Che purtroppo vive all'estero, quindi la vedo o su Skype, o la vado a trovare 2 settimane all'anno.

 

Davvero.. Non vedo l'ora di andarmene da questo posto... Dal mio liceo e da casa mia.. Ma tanto credo che le cose non cambieranno mai.. Come non sono cambiate fino ad esso ogni volta che ho cambiato scuola. 

Mar

13

Set

2016

depressione

Sfogo di Avatar di Anonimo | Categoria: Ira

E andiamo avanti così, ma quando finisce questa stramaledetta estate???

E che diamine, vattene, lasciaci respirare, a qualcosa devo dare la colpa se mi sento così depressa.

E i sensi di colpa? a che servono? A farti sentire peggio, a schiacciarti ancora di più. Ho imparato a insultarmi prima che lo facciano gli altri, brava:)

La sofferenza non fortifica, diventi più profonda, ANCORA più sensibile, 

a volte penso di essere un caso unico nella sua cronicità e questo mi spaventa,

ma poi penso che esisteranno persone ancora più disperate di me, io non so , non conosco tutti, parlo però di sofferenza psichica, sempre di quella parlo.

Odio quando mi giudicano, ultimamente meno, spesso non rispondo neanche, ma quando mi beccano girata il minimo è dare dell'ignorante a chi mi sta parlando.

Eh sì, cavolo, perchè un tempo ti potevo anche giustificare, queste cose a malapena le conoscevano gli psichiatri, ma adesso no, adesso le informazioni ci sono in abbondanza, se scegli di non informarti, ignori, non ti interessa l'argomento?

Ignoralo, e questo significa non sparare cazzate se non sai di cosa stai parlando, non è solo ignoranza , è stronzaggine.

Non credi alla depressione, sono seghe mentali...lavora che ti passa...

Benissimo, non crederci, sappi che è riconosciuta come malattia e se non ci credi forse ne hai paura, paura di immedesimarti, di sentirti come si sente un depresso malato, non depresso come umore depresso.

Ah oggi mi sento giù, sono di un depresso....ma di che??? che ne sai di depressione?

Ah già , dimenticavo, noi vogliamo essere compatiti...facciamo le vittime...

Noi siamo vittime di una malattia.

Mar

13

Set

2016

Mostri

Sfogo di Avatar di Anonimo | Categoria: Altro

Sono figlio del mostro di firenze. Bella fregatura. Quello vero, che non hanno mai beccato, ma lo sapeva mezzo mondo. Che sfiga. Mi ha rovinato la vita. Continuo a mandargli accidenti anche da morto.

 

 

 

 

Mer

07

Set

2016

Salve

Sfogo di Avatar di MeaowMeaow | Categoria: Ira

Non so perchè ho ancora le cuffie nelle orecchie se non sto ascoltando musica
Fisso la tastiera nella speranza di trovare l'ispirazione, ma non sto mica scrivendo un libro, è uno sfogo, cacchio!

Sono di nuovo in questa casa, ho addosso lo stress post-vacanza, ansia, depressione e un grosso cuscino a  tenermi coccolata. Non si toglie l'ansia di dosso, chatto con ancora quei ragazzi, videochiamate e boiate varie ma mi annoio, che schifo chattare, che schifo socializzare con persone estranee LoL che schifo il disordine, che schifo studiare mi è passata la voglia.. sento ancora il profumo di te su di me.. Mi sale il vomito, voglio dimenticarti, chiusa una porta si apre un portone?

La sveglia tornerà a suonare di mattina e tutto sarà come prima, voglio rifarmi il guardaroba. Odio i miei vestiti, voglio fare shopping. Questo posto è troppo silenzioso, voglio il casino, però non troppo altrimenti non dormo di notte. Voglio delirare, voglio urlare, voglio socializzare ma non so che dire, sono timida.
Un pacco di pringles è andato insieme ad una bottiglia di coca, me ne frego. Mangio le unghie e le sputo a terra come facevo da piccola, alla faccia dell'estetista.

Ho ancora quella giacca di pelle li sul divano, aspetto che tu venga a prendertela, ma tu non vieni mai, brutto scemo, scrivo cavolate su fogli, elenchi, obiettivi e non ne rispetto nemmeno uno, forse dovrei scrivere un diario.

BoH

Vado a nanna... 

Mar

23

Ago

2016

S.O.S-vi racconto la mia vita

Sfogo di Avatar di stufastufa | Categoria: Ira

Questo post è chilometrico, ma chiunque avesse la pazienza di leggerlo avrebbe tutta la mia gratitudine. Non sono mai riuscita a farmi capire da nessuno, e lo so che allora è un po' stupido riversare la propria sofferenza in internet...ma il sito dice "sfoghiamoci" e allora io lo faccio in grande, no?

 

Sono nata da una madre e un padre che all’epoca avevano rispettivamente 39 e 54 anni. Lei con la terza media, proveniente da una famiglia povera del Veneto e con alle spalle gravi abusi fisici e psicologici da parte di mio nonno materno su tutto il suo nucleo famigliare. Mio padre lombardo DOC, proveniente da un paesino bergamasco dell’anteguerra e orfano a pochi anni di mio nonno paterno; passato per la seconda guerra mondiale nei primi anni della sua infanzia dato che è nato nel 1938. Queste condizioni sfavorevoli di vita li hanno portati a essere persone problematiche: ansiosi, angoscianti, freddi, sfiduciati e degli incompetenti emotivi totali. Mio padre non ha mai fatto carezze, dato baci o scherzato su qualcosa, non ha mai fatto un regalo se non precedentemente concordato; mia madre faceva qualche carezza, ma era sempre cupa e vittimistica, e passava il tempo a lavorare o andare a messa e confessarsi, dato che era cattolica estremista.

 

Nonostante ciò hanno fatto subito un figlio quando si sono conosciuti (mia madre aveva 19 anni…), poi per vent’anni basta, niente più figli, finchè alla soglia della menopausa precoce di mia madre, in quello che mi hanno detto essere stato l’ULTIMO dei loro tristi rapporti sessuali, sono stata concepita per errore.

La prima accoglienza che ho ricevuto in questo mondo, la prima emozione che ho sentito, anziché la classica gioia di due persone che stanno per diventare genitori, sono state la paura terribile di mia madre e la proposta di mio padre di abortire. E il fatto che lei abbia voluto tenermi solo per fare un dispetto a mio padre e perché aveva paura di andare all’inferno se si fosse presa delle libertà col suo embrione… non è di grande consolazione.

Poi se ne sono fatti una ragione e si sono buttati nell’impresa di crescere un altro bambino cadutogli fra capo e collo, ma intanto il danno era già fatto. Da che sono venuta al mondo, già dalla prima settimana in ospedale, mi sono rifiutata di mangiare. Ero deboluccia e non avevo la minima voglia di crescere come gli altri bambini, non passava più di un mese senza che mi venisse qualche malattia. Al nido e all’asilo piangevo e vomitavo tutte le mattine. Vivevo in simbiosi con mia madre, che mi “amava” ma al tempo stesso mi avvelenava col suo attaccamento perverso, con la sua ansia, con le sue paure irrisolte. Ora so che soffriva di depressione clinica e con tutta probabilità anche di psicosi, ma nemmeno questo è granchè consolante. All’epoca non lo sapevo e per me lei era una figura d’attaccamento mostruosa, una fonte di affetto tossica, da cui però dipendevo. Tutte le sere prima di dormire mi raccontava le atrocità che faceva mio nonno alla famiglia, mi faceva guardare i film horror, riteneva normale che io alla richiesta di disegnare “la mia famiglia” producessi una schiera di crocifissi.

Mio padre, invece, era ed è sempre stato assente. A volte provava a giocare con me, ma forse non ne aveva granchè voglia o si sentiva stanco e impacciato, perciò non ci si impegnava molto. Lavorava tutto il giorno, e anche mia madre ha ripreso a lavorare tutto il giorno quando io avevo pochi mesi. Sui suoi diari c’è scritto che ero una bambina buona, socievole, che non cercava granchè le coccole ma intanto saltava in braccio agli sconosciuti. Io aggiungo che già allora dimostravo di essere sveglia e intelligente, che ero curiosa di tutto e mi piaceva scoprire il mondo. Non ero granchè bella ed ero sotto gli standard di crescita normali, infatti credo che lo sviluppo dell’intelligenza sia più che altro una reazione al fatto di non essere ammirati per altre qualità come l’altezza o l’aspetto fisico. Non so se sia così per tutti, ma per me lo è stato di sicuro.

Cercavo in ogni possibile modo di essere amata, di ricevere quell’amore pulito e incondizionato che i bambini dovrebbero avere, e che io non ho mai conosciuto. L’amore che ricevevo era sempre legato a qualcosa che facevo o non facevo, mi veniva detto di darmi una calmata, di smetterla di piangere e star male, di star seduta e buona, di “mettermi nei panni di mia madre” ecc. Mio fratello, ormai grande, è uscito di casa quando io avevo 4 anni, enfatizzando la depressione e l’isteria di mia madre e inasprendo il clima famigliare.

La casa che ricordo è un appartamento che nessuno puliva, pieno di giochi e libri e quindi di stimoli cognitivi (non posso dire che i miei genitori me li abbiano mai fatti mancare), ma pieno anche di inquietudini e odio e vuoto di stimoli emotivi. Mentre io ero una bambina estremamente sensibile, che avrebbe preferito di gran lunga usare il canale emotivo e corporeo più che quello logico.

Appena ho imparato a parlare sono stata tirata in ballo nei litigi di coppia; appena ho avuto la schiena abbastanza dritta per reggermi su un seggiolino della bici sono stata sbolognata tutto il giorno all’asilo nido e poi all’asilo, e quindi fino a sera da mia nonna. Mi sentivo abbandonata e tradita, ma all’epoca queste emozioni non avevano questi nomi. Venivano fuori sotto forma di sintomi psicosomatici e di un senso di dolore e oppressione terribili, che mi facevano scoppiare a piangere disperatamente non appena qualcuno mi spaventava o mi criticava. Perché, pensavo, se non si accorgono nemmeno di me, se non conto abbastanza da valere un po’ del loro tempo, allora sicuramente sono io che ho qualcosa che non va.

Già allora avevo problemi coi coetanei. Da una parte ero un esserino giocoso ed espansivo, coinvolgevo tutti in giochi di ogni tipo e, devo dire, molto fantasiosi; dall’altra ero estremamente insicura e mi appiccicavo tutto il giorno alla porta a vetri per vedere se arrivava la mamma. Questo era dovuto al mio non sentirmi abbastanza amata, ma soprattutto al bisogno patologico che mia madre aveva instaurato nei miei confronti: mancandole il primo figlio e odiando il marito, io ero diventata il suo unico appoggio affettivo. E così si aggrappava a me, in un’età in cui se tiri troppo forte si spezzano le braccine e le mani. Non sono mai riuscita a reggere tutta la sua ombra, ma al contempo avevo un disperato bisogno di guarirla, volevo che stesse bene e che sorridesse, e che mi volesse bene… e nell’ideale di onnipotenza che hanno tutti i bambini, probabilmente mi ero messa in testa che era colpa mia se lei non stava bene, che se mi fossi comportata meglio o adeguata a ciò che mi chiedeva, allora avrei potuto operare il miracolo. Ovviamente non è stato così. Ma quella bambina di pochi anni crede ancora di poterlo fare, di essere la causa delle malattie mentali di una madre che a sua volta è stata maltrattata e abusata dalla famiglia.

 

Inevitabilmente, insieme alla voglia di prendermi cura di lei, in un’età inappropriata in cui avrei avuto io per prima bisogno di cure, è germogliato un senso potente di risentimento e di rabbia nei confronti di questa famiglia incompetente che mi lasciava maltrattare dalle suore (forse il termine corretto è abusare, dato che suor Giuliana mi portava in una stanza vuota, mi tirava giù i pantaloni e mi sculacciava per vari minuti sulla pelle nuda; oppure mi metteva al centro della classe e ordinava agli altri bambini di umiliarmi finchè non avessi smesso di piangere), che mi lasciava soffrire senza offrirmi un appoggio sicuro e fingeva di non vedere il mio dolore -o forse non lo vedeva davvero-, che mi diceva che il mio malessere era una sciocchezza, che mi faceva dubitare di me stessa e di ciò che avvertivo dentro di me (ancora adesso ho un grande bisogno che le persone mi credano quando gli dico le cose, tanto che mi sento in dovere di spergiurargliele anche quando sono vere e quindi sembra che io stia raccontando cavolate…), che non offriva nessun tipo di contenitore e di esempio per la mia personalità in formazione.

Credo sia per questo che dentro di me c’è sempre stato un lato libero, indipendente e selvaggio; e insieme un altro molto instabile e impaurito, tipico di chi non ha avuto delle fondamenta stabili all’inizio della sua vita. La terza cosa che è nata in me in quel periodo, oltre al desiderio di guarire la mia famiglia e all’odio, è il senso di colpa per non essere riuscita nel mio intento. E’ da lì che nasce la mia idea di essere sbagliata. Non sono riuscita a compiacere la mia famiglia abbastanza da farmi desiderare e amare… abbastanza da farmi quantomeno accettare per quello che sono… e quindi ne ho concluso che se nella mia vita qualcosa va male l'imputato sono sempre io.

Dopo l’asilo è arrivata la scuola. A scuola stavo bene. Facevo amicizia abbastanza facilmente, ero più sicura che all’asilo, mi piaceva studiare e mi stavano simpatiche le maestre. Le elementari sono state effettivamente il periodo più tranquillo della mia infanzia. Avevo dei momenti in cui ancora piangevo a dirotto o manifestavo un’insolita timidezza, però nei miei ricordi sono molti di più i momenti belli di quelli negativi. Il mio disagio si era momentaneamente addormentato e veniva fuori solo nei disegni e nelle tematiche macabre dei miei giochi. Il resto erano compiti, attività in classe, intervalli in giardino. Ero molto creativa, molto brava in tutte le materie (tranne educazione fisica, cosa comprensibile dato che la mia famiglia non ha mai considerato il corpo o l’ha mortificato, e mi diceva sempre di star seduta e non essere “irruenta”, anche se magari stavo facendo una semplice corsa per casa o al parco come fanno tutti i bambini…). Non sono sicura che siano nati qui i primi problemi di invidia dei miei compagni verso di me, ma probabilmente dalla quinta elementare ho iniziato a rendermi conto che io ero più avanti degli altri e che se “esageravo” nel mostrare la mia intelligenza loro ci rimanevano male e mi escludevano.

Questa cosa è invece esplosa alle medie, soprattutto gli ultimi due anni. Le medie sono state in assoluto il periodo peggiore della mia vita. Nei primi mesi no, non ancora, perchè ci dovevamo tutti ambientare e a me piaceva l’idea di studiare materie un po’ più “difficili”, anche se in classe quasi sempre mi annoiavo dato che la mia testa correva avanti e (senza falsa modestia) molte cose le sapevo già. All’inizio infatti alzavo la mano continuamente per rispondere alle domande, facevo temi lunghi e dettagliati, sproloquiavo di materie scientifiche e, a parte la solita ora di educazione fisica dove i miei coetanei si prendevano tutte le loro rivincite, ero la migliore della scuola.

E’ stato allora che i miei compagni hanno iniziato a odiarmi. Prima gli davo solo fastidio, col passare del tempo l’intera classe (tranne le mie uniche due amiche) ha deciso che era ora di mettermi un freno. Così tutti hanno iniziato col parlarmi alle spalle, poi in faccia apertamente; a prendermi in giro per qualunque cosa mi mettessi addosso o mi piacesse (poteva essere un libro, un astuccio, una felpa, una musica… qualunque cosa). Non mi invitavano più alle feste, e se io gli portavo comunque un regalo di compleanno loro lo buttavano nel cestino davanti a me; mi scrivevano offese sul banco, mi nascondevano le cose o le buttavano via, una volta sono tornata dall’ora di educazione fisica e ho visto che qualcuno mi aveva vomitato nello zaino. I maschi più violenti mi minacciavano anche fisicamente, chiedendomi se volessi botte, facendo cricca all’ingresso della scuola e spaventandomi quando uscivo. Fra loro e fra mia madre che mi ripeteva continuamente di quanta gente ci fosse nascosta dietro i cespugli pronta a saltarmi addosso, il semplice tragitto casa-scuola per me si trasformava in un bagno di paura.

Il risultato è che io mi sono isolata sempre di più e, come difesa, ho idealizzato la mia intelligenza. Mi ritenevo un essere superiore, troppo particolare per scendere a patti con gente del genere e col loro mondo fatto di parolacce, fotografie di attori, sputi, bigiate e minacce. La mia prima adolescenza è costellata di ricordi solitari, di me che mi chiudevo in classe a leggere anche quando c’era l’intervallo, di me da sola nella mia stanza che facevo i compiti e mi intrattenevo con le mie fantasie, di me che scrivevo e vincevo premi letterari e partecipavo a show televisivi, ma intanto non avevo praticamente nessuno con cui parlare senza essere giudicata, senza la preoccupazione di dover essere “simpatica, easy, una ragazzina come gli altri”.

 

Quello è anche il periodo in cui ho ricevuto un sacco di critiche sul fatto che ero troppo seria, che dovevo muovermi a farmi degli amici e uscire per fare “cose da ragazzi” con loro, che dovevo vestirmi da adolescente e ascoltare musica da adolescenti e -per piacere!- non eccellere in ogni cosa, altrimenti tutti mi avrebbero odiato a morte!

E io invece, col carattere guerriero che ho, anche se dentro ero spezzata in due e mi sentivo triste come non so cosa, ho perseverato nel prendere tutti voti massimi, nell’ascoltare la musica che volevo e nel vestirmi come cavolo mi pareva. Era quel meraviglioso periodo in cui non accettavo di scendere a patti con le critiche. Non mi scivolavano addosso: le prendevo tutte in pancia come delle frecce e mi ferivano tantissimo, ma quantomeno non gli sottostavo. In quel periodo ho iniziato ad andare dalla psicologa, perché non sapevo dove sbattere la testa e mi sentivo un alieno totale rispetto al mondo che mi circondava.

 

A scuola era uno schifo, tornavo a casa e trovavo una situazione sempre più degenerata, con due persone ormai quasi estranee che si urlavano contro e mi coinvogevano nei loro meccanismi malati; con mio fratello distante e con un figlio da crescere, un fratello a cui non veniva detto mai niente su quello che stava succedendo in casa; senza un vero amico se non quelli che stavano dentro la mia testa e senza nessuno che mi desse un esempio o un modello da seguire.

La psicologa è stata una benedizione per me, e probabilmente grazie a lei ho imparato ad avere fiducia nella psicologia. Mi ha aiutato a finire le medie senza rimanerci secca, anche quando i miei compagni sono passati dalle parole ai fatti e, l’ultimo giorno di scuola, mi hanno lanciato un banco addosso. Anche quando per urlare il mio odio ai miei genitori e al mondo ho bevuto un flacone di detersivo e sono finita in ospedale. Quando finalmente è passato quel periodo, ho fatto un anno di liceo classico, buttandomi nello studio in un modo talmente maniacale che sono crollata appena finito un semestre. La situazione a casa era sempre peggio. Litigavamo tutti con tutti, tutti i giorni. Mia madre faceva gesti teatrali come inseguirmi con un martello o lanciare oggetti per terra, mio padre faceva la “roccia” e la ignorava, facendole venir voglia di strillargli dietro ancora di più per smuoverlo e fargli dire qualcosa (un comportamento che purtroppo capisco, dato che lo sto attuando pari pari a mia volta…).

 

Io mi chiudevo nella mia camera e scrivevo. Nell’estate tra le medie e il liceo ho scritto il mio primo romanzo, senza dire niente a nessuno. I miei genitori non hanno saputo niente, se non quando un editore l'ha pubblicato a proprie spese tre anni dopo… quando l’ho finito ho brindato da sola con me stessa, in cucina, nel buio della notte. E' stato il momento più felice della mia vita.

Mi ricordo tantissimo, ma proprio sulla pelle, quanto soffrivo in quel periodo a causa della mia età. Nessuno mi dava retta perché dicevano che ero troppo giovane, ero minorenne e quindi per lo Stato non esistevo e non potevo firmare da nessuna parte, quando scrivevo su internet mi scambiavano per un troll che si “spacciava per una ragazzina”. Mi sono sentita dire che le mie poesie erano troppo complicate e troppo tristi per una della mia età, che le femmine non devono scrivere cose così paurose o violente, che sembravo depressa o autistica, che mi dovevo vivere la mia vita e imparare a godermela. Tutto questo ovviamente detto da gente che non aveva la minima idea di quanto fosse vasta la gamma delle emozioni che provavo, di quanto fossi sensibile e di come godessi di cose che loro nemmeno capivano, come l’estasi della bellezza di una musica, trovare un buon libro in biblioteca, stare nella natura che mi è sempre piaciuta da morire, stare coi miei due amici a PARLARE di noi stessi e condividere le nostre giornate e il nostro affetto, anziché a ubriacarci e drogarci.

 

Mi piaceva viaggiare, mi piaceva vedere i quadri e i musei, adoravo leggere e giocavo ai videogiochi (di tutti i tipi, dai medievali e fantasy al simulatore d’aerei) come se non ci fosse stato un domani. A guardarmi da fuori adesso, a distanza di tempo, avrei detto a me stessa che ero una ragazza assolutamente normale, che magari si vestiva con tute larghe o maglie etniche anziché stivaletti e calzamaglie, che traeva nutrimento e vita da cose più “mature”, che era un po’ taciturna ma quando si trovava nell’ambiente che le piaceva allora si trasformava nella più solare delle persone.

Ma allora ero davvero convinta di essere diversa, e dannata. Non sapevo cosa fare per piacere di più agli altri, non sopportavo più di vivere in casa coi miei genitori, non sopportavo la mia vita. Ho iniziato un altro periodo di protesta verso la mia famiglia, con un comportamento anoressico che in realtà era un vero e proprio sciopero della fame, in cui mi sono ridotta a poco più di 30 kg e sono finita di nuovo in ospedale con la chiara intenzione di morirci.

Ma non è successo. In ospedale è scattato qualcosa e ho ripreso a mangiare. Sono andata a casa e ho espresso chiaramente ai miei che me ne volevo andare. Ho preso possesso dei soldi che mi aveva lasciato mia nonna e a 16 anni ho comprato una piccola casa, la MIA casa. Ho trovato lavoro in panificio, cosa che mi costringeva ad alzarmi all’alba e spararmi tre ore complessive di treno e pullman al giorno, ma ero felice. Vivevo come volevo io, mangiavo quello che mi piaceva (ero vegetariana da un paio d’anni e mia madre era sempre stata contraria a questa scelta), potevo usare i soldi che guadagnavo per tutto quello che mi serviva. I primi tempi ho avuto paura di non farcela, mi sono scontrata con le bollette da pagare e il fatto che io non potessi avere un conto in banca poiché minorenne; con la solitudine di una casa vuota, col fatto che ovviamente la gente non si risparmiava i commenti sul fatto che solo una disadattata o una sfigata va a vivere da sola a quell’età…

 

Dopo un anno e mezzo di quella vita, ho deciso che lavorare andava bene, ma forse era meglio anche finire le superiori e prendermi un diploma. Così ho messo in pausa il lavoro serio e ho fatto solo lavoretti saltuari, mentre recuperavo gli anni come privatista. E’ stato davvero, davvero difficile. Ero stanca morta, avevo pochi soldi, ma ce l’ho fatta comunque. Sono uscita con 97 su 100.

Il diploma mi aveva caricato molto. Ormai mi ero stabilizzata in casa mia, stando separata dai miei genitori riuscivo a parlarci di più, avevo deciso che avrei provato il test di medicina e che intanto per quell’estate avrei fatto una festa e viaggiato. La festa del diploma è stato l’ultimo momento di pace che ricordo. Eravamo tutti nel giardino a casa di mia madre, con fiori e candele, un sacco di cibo e persino un illusionista che avevo invitato per intrattenere gli ospiti. Ho delle foto di tutti noi con corone di foglie in testa e dei bellissimi sorrisi, sorrisi che non ho mai visto nella mia famiglia.

E poi la mazzata, perché quell’anno del cazzo era il 2011. L’anno in cui ho fallito il test di medicina per un punto e mezzo. L’anno in cui non sapendo cosa fare come università, anche perché quasi tutte erano col test di ingresso e ormai le date erano passate, ho deciso di trasferirmi vicino a Bologna per fare erboristeria e ho affittato la mia preziosa casa a un ragazzo che si è rivelato essere un delinquente. L’anno in cui la mia famiglia mi ha taciuto il tumore mortale di mia madre, per abbastanza tempo da farmi portare tutte le mie cose a centinaia di chilometri da Milano per poi farmi cadere dal pero in una serata di settembre, quando l’ho trovata in bagno che vomitava feci e siamo corsi immediatamente in ospedale, e allora sono stati costretti a dirmi cosa stava succedendo.

 

Immaginatevi me, in una casa in affitto in Emilia-Romagna, che inizio un’università nuova senza il minimo appoggio morale di nessuno, e intanto provo a cercare lavoro a Bologna, e nel mentre vengo a sapere che mia madre sta morendo e che il mio inquilino, che non mi paga e mi sta sfasciando la casa, va sfrattato con una procedura legale lunga e costosa.

Le uniche cose che mi hanno salvato in quel periodo sono state la scrittura e la spiritualità. Frequentavo un gruppo neopagano, una cosa che mi ha arricchito molto e che mi ha aiutato a pensare alla morte come una porta che da un’esistenza conduce a un’altra. Che mi ha aiutato a vedere un po’ di magia e di sacro in ogni angolo del mondo e in ogni stadio della vita umana, anche quelli più difficili.

Mia madre è morta quasi subito, il giorno di Natale del 2011. Sono stata io la prima a trovarla morta. Già da un bel po’ le somministravano morfina e quindi non si rendeva conto delle cose, ma ricordo che quella mattina aveva gli occhi perfettamente assennati, anche se immobili, e un’unica lacrima che le scendeva da una palpebra. Sono sicura che si sia resa conto di cosa stava capitando. Proprio il giorno dopo è morto anche il mio coniglietto, dopo dieci anni di onorata vita. Ho sempre detto che me li immagino insieme nell’aldilà, con lei che cerca il trifoglio per il suo piccolo amico. Finalmente libera. Finalmente sana. Finalmente se stessa.

 

Io ho retto il colpo abbastanza bene, anche se pure a distanza di anni continuo a piangere. Credo invece che mio fratello non si sia più ripreso. Nella mia famiglia le donne non sono mai state molto considerate e il loro “posto” è sempre stato la pelatura delle patate in cucina, ma sotto sotto tutti i maschilisti venerano la propria madre e, in sua mancanza, affibbiano le sue competenze (anche affettive) alla diretta erede. Cioè io. L’ultima donna rimasta fra i parenti stretti.

Questo è un ruolo che io ho rifiutato subito. Secondo i fratelli di mia madre, io avrei dovuto prendermi cura di loro come faceva lei, anche se ormai sono belli che adulti; secondo mio fratello, io avrei dovuto fare la badante di mio padre e prendermi cura di lui ora che lei non c’era più, nonostante loro due si fossero detestati apertamente e negli ultimi mesi prima che lei si ammalasse avessero (finalmente!) scelto di vivere separati anche se la religione cattolica vieta il divorzio.

Io ho detto a tutti che nessuna di queste “mansioni” mi passava nemmeno per la testa.

Sono tornata a Milano, sentendomi dire da mio fratello che ero una pazza che non finiva mai quello che portava a termine (eh sì, contorto il ragazzo… da una parte voleva che io mi prendessi cura di mio padre, ma dall’altra non gli stava bene che io tornassi a Milano. Bah). Ho trovato un lavoro che pagava bene e ho preso una casa in affitto in città, nel mentre che sfrattavo l’inquilino imbecille.

E intanto ho provato, per la seconda volta, il test di medicina. Però stavolta ho voluto andare sul sicuro e ho fatto anche quelli di professioni sanitarie e di psicologia, sperando che almeno in uno sarei entrata…medicina no. Inarrivabile. Ma sono entrata negli altri due, fisioterapia e psicologia. E ho scelto psicologia. Così sono passati i miei primi due anni di università, un anno con un po’ di lavoro, poi un periodo senza lavoro, poi un periodo massacrante di lavoro in un ristorante in cui ho perso un sacco di esami. La vita non andava bene, anche se avevo pubblicato il mio secondo romanzo, facevo teatro ed ero riuscita a riprendere possesso della mia casa. Non ero riuscita a farmi un solo amico all’università, odiavo Milano e abitavo comunque a più di un’ora di treno+pullman dalla città. Mi sentivo isolata e molto, molto sola.

 

E’ stato in quel periodo che ho conosciuto su internet un’amica torinese. Siamo entrate subito in sintonia, eravamo molto curiose di conoscerci e scambiare esperienze. Lei era una persona un po’ triste e anche lei con una famiglia del cavolo, ma abbiamo allacciato subito una di quelle amicizie intime, brucianti, praticamente da sorelle. Dunque mi sono trasferita a Torino a finire la triennale, sia perché avevo sentito parlare bene dell’università di psicologia e avevo l’intenzione di farci la magistrale, sia per stare vicino a lei. Ho fatto abbastanza fatica coi documenti per l’università, ho fatto una grande fatica a dirlo a mio padre e a mio fratello.

 

Entrambi erano assolutamente scettici sul fatto che io finissi l’università, mio fratello mi ha proprio detto in faccia che tanto sarei tornata a Milano dopo qualche mese con la coda fra le gambe, proprio com’era successo con Bologna. Ma non l’ho fatto. Ho affittato prima una mansarda in centro e poi una casa più grande, dove sto scrivendo in questo momento. Ho incontrato finalmente delle amiche serie che facevano psicologia come me, e con loro posso dire di aver vissuto veramente i momenti di apprensione, follia e giovinezza della vita universitaria. Penso che loro, in particolare una, siano state le uniche persone al mondo ad accettarmi veramente, con tutti i miei casini e il mio passato problematico, senza volermi aggiustare, cambiare o distruggere.

 

L’anno scorso mi sono messa a dare esami a raffica per recuperare il tempo perso e riuscire a laurearmi. Ho ottenuto il mio risultato, mi sono laureata in corso e con un voto più che dignitoso. Ma intanto mi sono lasciata indietro un sacco di momenti di vita, di rapporti umani non vissuti, di giorni sereni che ho riempito solo con ansia e stress.

Mio padre e mio fratello hanno reagito alla mia laurea con un “ah ok, brava…”. Niente regalo, niente festa. Ovviamente. Non so bene per cosa mi voglia punire mio fratello, so solo che da quando sono a Torino non è mai venuto a trovarmi e non mi parla più nemmeno al telefono. E i suoi figli non vogliono vedermi. Quelle rare volte che ci vediamo dicono che io sono la zia “pazza e strana”. 

E mio padre…ho cercato con tutta me stessa di aggiustare le cose, parlarci, provarci, risvegliare UN MINIMO di calore in lui. Ma non serve a niente. Lo odio. Lo odio in un modo antico, potente, vulcanico che è molto difficile da controllare. Non riesco a starci insieme per più di un giorno senza avere il desiderio di spaccargli la faccia, di ucciderlo pur di rompere quel cazzo di guscio che si è costruito attorno e non lascia uscire né entrare niente, né il calore di un qualsiasi rapporto umano, né le parole, né le emozioni o la vita.

Sto andando nuovamente da uno psicologo da un anno, ma non sento molti miglioramenti e fra noi c’è tantissima distanza. Lo vedo come un rapporto professionale, ma empatico solo a tratti. E sono cambiata, tanto cambiata. L’amicizia con la mia amica torinese si è arrestata quando ho capito che mi faceva più male che bene, perché non era quello che era stato all’inizio: era una relazione a senso unico in cui lei stava sempre male e voleva che io mi prendessi cura di lei (un po’ come mia madre insomma).

Per il resto sono una creatura morta. Ho buttato via i mei vestiti etnici perché ero stufa di come mi guardava la gente quando li mettevo e perché mi ricordavano tutte le prese in giro delle medie, respiro aria orribile, dopo ben 10 anni di felice vegetarianesimo ho ripreso a mangiare la carne solo per fermare quel fiume di gente che ogni volta che mi sedevo a tavola mi faceva il processo sulle carote che soffrono, mi tempestava di domande che non erano curiosità ma frecciate, e augurava il cancro a me e ai miei poveri figli (quali figli poi non si sa, dato che non ne ho e non ne voglio…); che mi dava dell’idiota, della malata di testa, della persona mentalmente chiusa o della puritana.

Ho iniziato a bere e ubriacarmi per lo stesso motivo. Se prima bevevo una birra artigianale o un liquorino ogni tanto perché gradivo il gusto che avevano, l’anno scorso ho iniziato a mandar giù qualunque roba alcolica e ubriacarmi fradicia, girovagando per serate e locali che odiavo, solo perché così sono “come tutti gli altri ragazzi giovani”.

Ho dimenticato completamente la spiritualità, non scrivo più da un anno, non promuovo i miei libri e le mie capacità teatrali non sono state più coltivate. Sto diventando un’ombra, triste, aggressiva, piatta come il resto delle teste di minchia che popolano questa nazione. Non riesco a capacitarmi che qualcuno mi voglia bene e infatti do ingiustamente addosso anche alle poche persone che me lo dimostrano, facendo gaffe bestiali e buttando su di loro i miei sbalzi di umore.

 

Ho 24 anni e mi sento vecchia e stanca, non ne posso più di dover curare la casa, di dover cercare lavoro mentre studio, di dover fare l’adulta e poi passare subito in modalità ragazzina scialla se no ai miei coetanei non piaccio. Mi sento male perché sono l’unica della mia età a non pensare sempre a scopare, non ho un ragazzo o una ragazza, ho una sessualità tutta particolare e non ho ancora trovato nessun partner che la capisca o che veramente sia in grado di volermi bene e instaurare con me una relazione paritaria. Ho bisogno d'affetto come tutti gli altri, anche se sono indipendente e matura, ma i miei coetanei (diciamo pure anche quelli fino a 35) sono dei ragazzini mentalmente limitati, e se sono più in là con l'età mi vedono solo come una dolce "bambina" da fottersi- scusate il francese-.

 

E io, in sostanza, non so più chi cazzo sono.

Ho scritto questo bel papiro perché voglio urlare che le cose stanno così. CHE IO STO MALE, e non è una “boiata”, un “lamentarsi a vuoto”, è un dolore atroce che probabilmente neanche conoscete e io non permetto più a nessuno di sminuirlo dicendo che “boh, forse un giorno passerà, sei così giooovaneeee”. E’ tutta la vita che sto male e io non ne posso più. Non so cosa fare, veramente certe volte non vedo via d'uscita e vorrei soltanto addormentarmi dolcemente.

 

Se sei arrivata/o fino a qui, hai veramente una grande pazienza e probabilmente la curiosità o la voglia di ascoltare e capire. Magari dimmi cosa ne pensi di tutto ciò, che cosa faresti tu… anche solo una riga o due. Mi aiuterebbe davvero, davvero tantissimo in questo momento buio.

 

Grazie mille... 

Sab

13

Ago

2016

Sei solo un 40 enne attaccato alla gonna di mamma: andatevene all' inferno entrambi

Sfogo di Avatar di Anonimo | Categoria: Accidia

Abbiamo convissuto 1 anno ed è stato l' INFERNO. Tu col tuo monolocale di 30 mq che mi ha lasciato spazio si e no PER UNA VALIGIA,  che a tutte le parete ed ogni angolo ci sono foto TUE che ritraggono solo TE, appiccicati a casa dei tuoi con la tua SANTA mamma che entrava ed usciva a piacimento, CON LE CHIAVI DI CASA, sia che fossimo presenti o meno.Che frugava nei cassetti, che sbirciava nelle nostre cose, che si faceva i cazzi nostir in TUTTO. Che veniva a dirmi come dovevamo sistemare casa e pure il piano che aveva lei per ristrutturarla ed ampliarla per non farci MAI andare via da lì.Hai impiegato UN ANNO per chiederle di restituirti le chiavi, xkè a quella stronza non era sufficiente dire "Non devi entrare" "non devi controllarci il frigo" "non devi farci lavatrici" "non ci devi rifare il letto". No, maledetta psicopatica di merda. E tu che nemmeno volevi comprare un ferro da stiro (20 EURO) perché tanto c' era TUA MADRE. Tu che ti dare consigli su TUTTO da tua madre. Che mi venivi a dire come lavare/stirare/cuinare/pulire qualcosa con "Mia madre dice che DEVI.." dimenticandoti che PURE IO HO UNA MADRE, LA MIA.

E dopo un anno di  inferno, casualmente, quando richiedi le chiavi a tua madre, la sera stessa tuo padre bussa alla nostra porta e mi urla in faccia che la devo smettere, che ci sentono litigare (loro, che quando litigano lanciano pure i piatti) e che vogliono dormire (alle 21:30), e mi dice che "qui cambia musica o te la faccio cambiare io a modo mio". Tuo padre, vecchio di merda, che mi minaccia davanti a te, in casa nostra e TU TE NE STAI ZITTO.

Ho fatto le valigie, sono scappata da li, a distanza di 6 mesi ANCORA i tuoi non chiedono scusa, anzi HANNO RAGIONE, io SONO MALEDUCATA e tu li difendi, dici che del resto è COLPA MIA perché quando tu URLAVI io dovevo stare zitta e non urlare a mia volta. LOGICO. E hai il coraggio di chiedermi "perché non torni ?".

TI dico che lo farò quando cambierai CASA, e mi rispondi "perché dovrei, io sto benissimo così !".

Crepa, egoista di merda ! Per colpa tua e di quegli stronzi ho avuto un esaurimento nervoso, sono l' ombra di me stessa e l' unico motivo per cui trascino questa storia è perché NON HO FORZE.

Se esiste un inferno tu, 40 enne senza palle, e la tua madre psicopatica inseparabile ci finirete per direttissima.

E SPERO PRESTO.

Sab

23

Lug

2016

problemi coppia dopo figlio

Sfogo di Avatar di elisamagelisamag | Categoria: Altro

Ciao a tutti se scrivo qui è perche sono all ultima spiaggia....la relazione col mio compagno è divenuta insostenibile. abbiamo un bambino di 1 anno e 4 mesi e noi abbiamo 27 e 28 anni...il problema è che da quando è nato il bimbo la nostra relazione è cambiata...sono rimasta incinta dopo 9 anni di fidanzamento...il bambino non l abbiamo cercato è arrivato. da quando ho scoperto di essere incinta ho capito ch e non ero pronta a diventare mamma ma tutti mi hanno spronato e anche il mio compagno desiderava molto tenere il bimbo quindi abbiamo deciso di tenerlo ma io gia sentivo il tutto come una tragedia..noi lavoriamo insieme io ho un lavoro che amo faccio i mercati e avevo paura che il bimbo potesse essere un impedimento al mio lavoro alla mia vita. cosi non è stato poi, perchè ho trovato una brava tata e a 3 mes del bimbo sono ritornata a lavorare la mattina. quando il bimbo è nato io sono stata male ho avuto una sorta di depressone, non sono riuscita a allattare il bimbo, e questo mi ha molto scoraggiato, il mio ragazzo mi è stato vicino ma non come avrei voluto forse.io ero abituata a uscire, a lavorare e il fatto di stare sempre a casa mi stava uccidendo. cosi a 3 mesi il fatto che sono rientrata a lvorare e che ho ripreso in mno la mia vita è stata una manna dal cielo, anche se alternavo ancora momenti di depressione...presto ci siamo sempre piu allontanati col mio ragazzo e siamo arrivati alla situazione in cui siamo ora...litighiamo spesso soprattutto perche io non sono soddisfatta perche lui non mi da attenzioni, mi parla a stento...parliamo pochissimo...abbiamo momenti in cui a lungo tempo non facciamo l amore...ora saranno 3 mesi...non ci sono molte manifestazioni d affetto da parte sua anche se io provo a avvicinarmi, il problemaè chenon riusciamo mai a ritagliarci del tempo per noi sempre col bimbo non usciamo mai non facciamo mai qualcosa insieme e io vorrei. ho provato a parlarci ma lui non vuole parlare dice sempre che sono io che creo problemi che per lui va tutto bene...ma come fa a andare bene? non parlandosi e ignorandosi secondo lui va bene ma per me no perche dopo un po che sto in casa con chi non mi considera e mi ignora sbrocco...e poi riverso le mie ansie sul bimbo arrivando a pensare in modo sbagliato che la colpa sia sua perche prima andavamo d accordo ci volevamo bene avevamo tempo e arrivo a considerare il fatto che se non l avessimo fatto sarei stata piu felice...non giudicatemi male parlo cosi perche sono portata all esasperazione...in piu siamo venuti a abitare in un altra città dove non conosco praticamente nessuno quindi a parte il lavoro non ho altro per svagarmi,,patisco il fatto che ho perso tutti i miei interessi e che non ho svaghi. sono bloccata ho paura di tutto,,l  unica cosa buona è che ho trovato la forza e lunedi vado a parlare con una psicologa...vi prego datemi qualche consiglio anche voi

Sab

09

Lug

2016

Vuoto totale

Sfogo di Avatar di Anonimo | Categoria: Altro

Salve a tutti, sono un ragazzo di 14 anni che ha appena finito di svolgere il 1 liceo, e non riesco più a resistere in questa merda, sono Omosessuale, la mia famiglia è altamente omofoba e sono all'oscuro di ogni cosa, e vivo nel panico, che un giorno possano scoprirlo, sono stato lasciato dal mio ragazzo  e mi ha lasciato un terribile vuoto. Sono un ragazzo diverso dagli altri, mi sento sbagliato, per i miei genitori sono una delusione, mi trattano da schifo e non ho rapporto, mio padre è spesso anche alquanto violento, mia madre è stressata, non riiesce a gestire l' ordine e anche lei, come me, soffre di depressione. Non riesco a farmi amici, a scuola mi emarginano tutti nonostante quanto io ci provi, anche fingendo di essere qualcun'altro, come ad esempio un fan di calcio, che non sono. Nel mio passato ho avuto gravi problemi di obesità e depressione, che ero riuscito a superare grazie all aiuto del mio ex ragazzo, ma ora che lui non c'è mi sento uguale a prima, possono sembrare le solite parole da ragazzina 14enne, ma non riesco a provare sentimenti, tutto è diventato niente, e il niente è il mio tutto, ora sono autolesionista, ed è l'unica cosa che mi fa provare emozioni, e in tutto questo provo una profonda solitudine interiore, e non ho idea di come uscirne.