Mar
10
Lug
2012
Dove sei, tu?
Mi hai lasciata per un uomo, dal nome banale, dal viso banale. Mi hai lasciata perchè non mi amavi più come quando ci siamo conosciute, perchè la nostra vita assieme era un peso che non riuscivi a sostenere.
E poi sono tornata, stupida idiota!, per sentirmi dire che dovevi riflettere per un po' su cosa fare, su come doveva cambiare il nostro rapporto.
Cosa vuol dire sentirsi amati? Io l'ho dimenticato, e lo sapevo, e mi fa arrabbiare. Dopo un giorno e mezzo di questa pausa, senza sentirti, senza parlare con te, sono in agonia. Non volevo piangere nemmeno una volta, e invece mi sono appena alzata dal divano, dopo poche, pochissime lacrime, e con la fronte scorticata dalle unghie.
Voglio bere, ubriacarmi, non ricordare. Voglio essere abbastanza ubriaca da dirti quanto ti detesto, e quanto ho bisogno di te.
Io ho pensato a cosa volessi fare della mia vita, praticamente, dopo anni che stavamo assieme.
Cosa vuoi mettere, nella nostra casa? Una libreria, di sicuro. Uno studio, per correggere le verifiche di inglese che ti daranno i tuoi studenti. Voglio fare mattina con te, mentre ti ripeto forsennatamente liste di malattie incurabili, voglio che mi ascolti, voglio che tu venga a prendermi quando uscirò dal lavoro.
Voglio sgattaiolare via dal reparto dieci minuti in anticipo per andare a casa a preparare la cena per te, voglio venire a prenderti a scuola dopo gli scrutini, voglio piangere e sentirmi in colpa per dover uscire alle quattro di mattina per andare in ospedale al lavoro, e odiare chi è caduto dalla bicicletta e si è fratturato un polso, costringendomi ad uscire di casa per andare ad aiutarlo invece che stare a casa con te.
Sono costruita sul fango, e speravo che qualcuno volesse ugualmente costruire un palazzo di cemento armato su di me, che non crollasse, anche se avessi tremato. Eri come un padre, per me: il papà non piange mai, e se piange i figli sono terrorizzati, perchè papà non piange mai.
Volevo che fossi il mio cemento, e invece il terremoto ti ha buttata giù. E adesso sono una piaga aperta, infetta, dolorante, carne viva contro il fuoco, una fotografia senza cornice che la protegga.
Avrei dedicato la mia vita a te, l'avrei consacrata all'amarti e al volerti gomito a gomito con te. Invece ho imparato a mandare giù, ad ammalarmi di negazione, a non voler vedere che non mi amavi. Potrai dire la stessa cosa, che hai imparato a sentirti oppressa da me.
Vivrai con me qui, lontano dalle tue amiche, così non potrai vederle e ridere con loro: ecco cosa penso, quando sono arrabbiata. Mi hai detto di non voler rinunciare neanche ad un sabato sera da passare assieme. Io l'ho già fatto, ho rinunciato a vivere per vivere di te.
Tu non hai mai vissuto di me, ti sei accontenta di stare qui, quando le cose andavano male.
Chi c'è, fuori, come te? Mi rispondo nessuno, ed è questa la prova che non ti avrei mai lasciata andare via, perchè non esiste nessuno con cui stia così bene, e male, come sto con te.
Non avevo pensato di aver bisogno anche io di riflettere, ma è così. Nel mese e mezzo che non ci siamo sentite non ho pensato nemmeno una volta, tanto era il dolore. Adesso penso che io.
Sei sicura di meritarti una pausa di riflessione da me? Forse no, perchè quando sei sola tendi a pensare solo a stronzate.
Cosa mi dirai, domenica, non lo so. Mi condizionerà, però. Magari tornerò esattamente come prima, puntigliosa, stakanovista, gelosa, irascibile, e tu smetterai di amarmi ancora.
Mi sono fatta del male, oggi, sai? Ho letto cosa pensa la gente delle pause di riflessione, e la risposta più comune è che anche se si ritorna a vivere assieme, ci si resta solo per paura o abitudine, mentre intanto le cose scorrono, ed è come non vivere più una per l'altra.
Sono drogata di te come dalle sigarette: vorrei che non mi serviste, ma non riesco a fare a meno di voi. Mi sento vuota, senza definizione, come se fossi meno me stessa senza.
Tu sai che la fatica non mi spaventa. Mi preoccupa lavorare da sola per noi, mentre tu stai a guardare.
Ti ho giurato che da me non avrai altre possibilità. Se deciderai di stare ancora con me e poi te ne andrai, non potrai più tornare. E se andrai via immediatamente, non ti lascerò più entrare.
Ma sai anche che da me avrai ancora mille, e mille, e mille, e mille possibilità, e che potrai sbagliare quanto vorrai sapendo che sarò sempre tua.
Rabbia, delusione e sfiducia sono talmente tante che desidero diventare il tuo attacco di panico costante, farti stare male continuamente, darti ansia e terrore, farti svegliare nel cuore della notte senza nessuno su cui contare.
Forse ho sbagliato a volerti proteggere, nel mio cuore. O forse no, perchè davvero staremo ancora bene assieme.
Tu vuoi essere felice. Io voglio essere felice con te. E' questa la vera differenza tra me e te, la mia debolezza, il mio aver bisogno di qualcuno accanto.
Ti amo, disperatamente. Tu lo sai. Forse non sai il perchè, però.
Non so cosa vuol dire Nevermind. Mi importa di te. Mi importa di come mi hai cambiata, e migliorata, e distrutta, e abbandonata, mi importa della tensione e della paura costanti che mi hai fatto provare e mi hanno tenuta in vita.
Torna da me, Giulia, per farti odiare a sufficienza. Ti prego.
Federica
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