Lun
22
Lug
2019
Lavorare nel "sociale"
Enrico, nome a caso, è un cittadino italiano che ha bisogno dei servizio sociali per vivere. È una pasta di bontà, molto ingenua, necessità di qualcuno che lo aiuti nelle faccende giornaliere. Chi lo segue ha fatto un incidente in macchina, nulla di gravissimo ma per un po' mancherà. I suoi colleghi, quelli che mi dicono "ma non sarai mica fascista?", quelli che nelle riunioni periodiche denunciano la deriva autoritaria della società nostrana che porta meno fondi per "l'accoglienza", tutti assenti e non è un caso isolato. Le scuse sono le più varie, alcune comprensibili, però sono gli stessi che spesso si lamentano per la mancanza di ore. Sentita la cosa mi sono offerto, pur spostandomi l'orario, entrando prima col bimbo da portare alle colonie, la macchina della cooperativa naturalmente in mano ai soliti e due spicci un più. In caso contrario questo bravo ragazzo sarebbe rimasto scoperto, da solo in un tugurio, tanto chissene frega. Questo non perché io sia santo, odio l'agiografia, semplicemente perché volevo descrivere l'habitat del lavorare nell' educativo e nel sociale, dove è pieno di gente che "resta umana". Seguiranno aggiornamenti
4 commenti
È buono al forno
Ah quanto è vero, ma sai, preoccuparsi dell'immigrato sul barcone o dell'africano affamto è molto più semplice e comodo, basta mostrare un po' di solidarietà da tastiera, un tweet qui e un commento su FB là, giusto 10 minuti per lavarsi la coscienza e poi via a pensare all'aperitivo del Sabato sera. Se invece c'è da preoccuparsi dei bisognosi vicini, tutti spariscono, troppo sbattimento...pure e semplice verità
mi raccomando non farci mancare il seguito
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